Siamo tornati alla guerra di corsa: petroliere sequestrate al di fuori delle leggi internazionali
Come se fosse la cosa più scontata del mondo, nei giorni scorsi il presidente degli Usa, Donald Trump, ha annunciato il primo sequestro di un carico di petrolio proveniente dal Venezuela. Molti analisti americani e non, hanno commentato che l’azione rientrerebbe nella strategia dell'amministrazione Trump rivolta ad aumentare la pressione su Maduro, come peraltro già dimostra il massiccio dispiegamento di forze militari americane nella regione caraibica. Peccato che i trattati internazionali che disciplinano il diritto internazionale marittimo non codificano fattispecie del genere e, per questa stessa ragione, possiamo annoverarli senta tema di smentita tra gli atti di pura pirateria; piaccia o non piaccia, si tratta di pirateria a tutto tondo.
Aggiungiamo, inoltre, che la petroliera sequestrata, secondo fonti di stampa americane, farebbe parte della “flotta ombra" di navi che trasportano petrolio dai porti venezuelani verso altri Paesi. Sempre secondo le stesse fonti, risulterebbe che spesso queste unità navali disattivano il segnale Ais (Automatic identification system) oppure lo mascherano per non rivelare la loro effettiva posizione; se ogni nave che spegne intenzionalmente il proprio Ais può essere sequestrata, riempiremo porti e rade di tutto il mondo in poco tempo.
Comunque, un dato merita di essere ricordato: da quando Washington (2019) impose le sanzioni a Caracas, queste cosiddette navi ombra risulterebbero essere state sempre più utilizzate per l’esportazione del petrolio venezuelano.
Analoga situazione si registra nel Mar Nero; infatti, gli ucraini negli ultimi giorni hanno messo a segno tre raid contro navi mercantili sospettate di operare per conto dei russi, provocando la reazione immediata di Mosca che per tutta risposta ha centrato con un drone una nave turca (per mero sbaglio) ormeggiata sulle banchine di Odessa e dalla quale si è sviluppato un incendio disastroso mentre altre unità ucraine ormeggiate nei porti viciniori risulterebbero seriamente danneggiate.
«Il Mar Nero rischia di diventare l’arena per una resa dei conti e questo va assolutamente evitato», ha avvertito il presidente Erdogan.
Ricordiamo ai nostri lettori che le tre petroliere della “flotta ombra” russa – sospettate di contrabbandare greggio russo in violazione dell’embargo - sono state colpite immediatamente dopo avere attraversato il Bosforo ed essere entrate nel bacino del Mar Nero.
Dal canto suo anche il Cremlino ha reagito pesantemente; infatti, già dalla fine di agosto sta replicando con puntuale meticolosità, attuando la distruzione della rete elettrica ucraina, spazzando via centrali, stazioni di distribuzione e scorte di gas; si tratterebbe, infatti, di un’azione sistematica volta a minare la disponibilità di corrente elettrica, ormai razionata ovunque e con improvvisi blackout dovuti al cedimento delle infrastrutture.
Sabato scorso a Kiev un milione di persone è rimasto senza luce; aggiungiamo anche il fatto che Putin in persona, due settimane fa, ha promesso una ritorsione contro gli assalti alle petroliere nel Mar Nero.
Infine, per non farci mancare nulla, gli Stati Uniti hanno attaccato un’unità mercantile partita dalla Cina e diretta in Iran, con la motivazione che «trasportava componenti per armi».
Le ragioni che, secondo fonti giornalistiche americane, hanno condotto ad effettuare un’operazione di questo genere in alto mare, vanno lette in relazione alla necessità di impedire all'Iran di ricostituire il suo arsenale militare dopo che i raid americani e israeliani del giugno scorso, hanno seriamente compromesso le capacità militari iraniane. L’autorevole testata “Wall Street Journal” riferisce - in base a resoconti di ufficiali della US Navy - di come lo scorso novembre le forze militari americane sarebbero salite a bordo di una nave nell'Oceano Indiano per sequestrare materiale partito dalla Cina e diretto nei porti della Repubblica Islamica. La nave, abbordata prima e sequestrata dopo, si trovava a centinaia di miglia dalla costa dello Sri Lanka, e quindi in alto mare. Nel carico, riferiscono le stesse fonti, sono stati trovati componenti potenzialmente utili per la realizzazione di armi convenzionali. Il materiale ritenuto bellico è stato poi distrutto.
Nessun dettaglio è stato reso noto sull'armatore e sul nome del mercantile. Il Comando americano dell’Indo-Pacifico - che ha condotto il blitz - si è trincerato dietro il classico “no comment”, che notoriamente diventa un muro impenetrabile oltre il quale la libera informazione non può andare; per finire, riportiamo che nessuna risposta formale è stata data alle richieste di commento rivolti dalla stampa americana ai ministeri degli Esteri di Cina e Iran.
È la prima volta negli ultimi anni che si viene a conoscenza della intercettazione di un carico di origine cinese diretto in Iran, effettuato da parte dell’Us Navy. E non appare cosa di poco conto.
In conclusione, le certezze ancorate al diritto internazionale marittimo vengono via via meno; le regole fondamentali per la coesistenza pacifica dei traffici commerciali orni giorno che passa diventano sempre più sottili, fino a diventate quasi evanescenti. Abbiamo necessità di un risveglio etico dell’Onu in primis e di tutti i governi che si definiscono democratici. Non è possibile assistere quotidianamente alla distruzione delle leggi e delle Convenzioni che regolano i traffici marittimi, facendo precipitare la società umana al XVII secolo, ai tempi della guerra di corsa e dello Ius angariae.