Altri 100.000 sfollati nel nord del Mozambico, di fronte al regno offshore del Gnl italiano
Il 13 ottobre 2023 la presidente del consiglio Giorgia Meloni volava in Mozambico per incontrare l’allora presidente Felipe Nyusi e aveva dichiarato che «Le nostre sono Nazioni che hanno un lunghissimo portato di cooperazione, sono Nazioni legate da un'amicizia profonda, un legame che nasce ancora prima della indipendenza nel 1975, che si basa su un partenariato unico, frutto anche di quel ruolo di mediazione che l'Italia svolse per porre fine alla guerra civile con gli Accordi di pace firmati a Roma nel 1992. E quindi c'è qualcosa di più nel nostro legame rispetto alla normale cooperazione bilaterale tra due Nazioni».
La Meloni aveva ricordato che «Chiaramente il fiore all'occhiello di questa nostra cooperazione è quello del settore energetico, soprattutto grazie alla presenza sul territorio dell'Eni. Noi siamo d'accordo con il Presidente nel ritenere che i giacimenti scoperti al largo delle coste settentrionali del Mozambico siano una enorme opportunità per lo sviluppo di questa Nazione, anche per rafforzare i nostri rapporti. Il Governo italiano considera oggi l'energia un fattore sempre più decisivo, soprattutto nel partenariato strategico tra Europa e Africa. Noi dobbiamo uscire, dal mio punto di vista, da una forma di cooperazione che ha avuto in passato un approccio troppo paternalistico, se vogliamo un po' caritatevole. Non è questo che serve per costruire rapporti solidi e duraturi tra le Nazioni. Quello che serve è trovare investimenti di lungo periodo che diano un beneficio a tutti gli attori, che mettano insieme interessi di Nazioni diverse. Oggi l'energia è uno di questi fattori perché noi abbiamo avuto una crisi internazionale, ci siamo ritrovati in Italia in una condizione difficile rispetto al tema dell'approvvigionamento energetico, l'Europa ha un problema di approvvigionamento energetico, l'Africa è potenzialmente un enorme produttore di energia, di qualsiasi tipo di energia. Le due cose, dal nostro punto di vista, se messe insieme, possono costruire un futuro di cooperazione diverso tra i nostri continenti. Riguarda oggi il tema dell'energia, ma può anche riguardare il tema delle materie prime. L'Africa non è un continente povero, l'Africa è un continente che ha moltissime materie prime. Il punto è riuscire ad aiutare e a sostenere la possibilità e la capacità delle Nazioni di processare quelle materie prime e quindi di poter vivere e prosperare semplicemente con le tante risorse delle quali il continente africano dispone».
La premier italiana aveva poi evidenziato che «Abbiamo parlato di lotta al terrorismo, perché ovviamente la stabilità e la pace sono la base di qualsiasi investimento strategico. Noi chiaramente invitiamo le nostre aziende, vogliamo spingerle a investire sempre di più. C'è un lavoro sulla lotta al terrorismo che è precedente e che possiamo fare e continuare a fare insieme. Il Presidente sa bene che l'Italia partecipa con un proprio contingente alle missioni europee, continuiamo a essere pronti a fare la nostra parte. A luglio è entrato in vigore il nostro accordo di cooperazione strategica sulla difesa e forse quello è anche un ambito nel quale poter meglio cooperare insieme nella lotta al terrorismo perché senza stabilità è molto più difficile produrre anche il benessere del quale c'è bisogno».
Sono passati più di 2 anni, il Mozambico è diventato uno dei traballanti pilastri del Piano Mattei e dell’hub del gas meloniani, quest’anno Nyusi ha lasciato il posto al nuovo presidente Daniel Francisco Chapo, anche lui dell’ex marxista-leninista Frelimo, in elezioni dichiarate (probabilmente a ragione) truccate dall’opposizione di destra della Renamo, ma nel paradiso del gas offshore di Eni la situazione economica non è migliorata e il terrorismo al quale Giorgia Meloni aveva dichiarato guerra sta dilagando proprio dove Eni e il governo italiano avevano assicurato l’impegno maggiore in progetti socio-economici e sanitari.
Infatti Xavier Creach, Il rappresentante dell'United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) per il Mozambico, ha espresso «Profonda preoccupazione per l'intensificarsi degli attacchi contro i villaggi e la rapida espansione del conflitto in distretti precedentemente sicuri, che stanno costringendo decine di migliaia di persone a fuggire nel nord del Mozambico, con quasi 100.000 sfollati solo nelle ultime due settimane. Mentre i bisogni aumentano a una velocità senza precedenti, la capacità degli attori umanitari e governativi non riesce a tenere il passo e gli sforzi collettivi rimangono insufficienti per soddisfare la portata della protezione e dell'assistenza richieste sul campo».
Chi è riuscito a mettersi in salvo racconta di essere fuggito di fronte a gruppi armati che, spesso di notte, assaltavano i villaggi, bruciando case, attaccando i civili e costringendo le famiglie a scappare senza niente. Creach ha raccontato che «Molti hanno descritto fughe caotiche, con i genitori che perdevano di vista i figli e i parenti più anziani lasciati indietro nel panico. Per molti, questa è la seconda o terza volta che vengono sfollati quest'anno, mentre gli attacchi li seguono in nuove aree».
Eppure, mentre la Meloni si intratteneva amabilmente con Nyusi a Cabo Delgado – proprio di fronte alle piattaforme e agli impianti offshore per il GNL dell’Eni - aveva già fatto strage la nuova guerra per quelle risorse era iniziate nel 2017, che poi ha causato lo sfollamento di oltre 1,3 milioni di persone. Ma sul Mozambico, sulla mattanza che avviene da 8 anni sulla costa che si affaccia sulle concessioni di Eni e di altre multinazionali petrolifere, sembra calato il silenzio e i pochi investimenti per lo sviluppo sociale fatti in cambio di quei giacimenti di gas sono stati spazzati via dalle bande armate e dalla violenza dellesercito mozambicano. E l’UNHCR ora denuncia che «Il 2025 ha visto un pericoloso cambiamento: gli attacchi ora avvengono simultaneamente e si estendono oltre Cabo Delgado, fino alla provincia di Nampula, minacciando le comunità che in precedenza avevano ospitato famiglie sfollate. Mentre la violenza si diffonde rapidamente, i civili non hanno praticamente alcun preavviso e si stanno rifugiando in insediamenti di fortuna, tra cui scuole e spazi aperti, nella provincia di Nampula. Molti fuggono senza alcun documento di identità e senza accesso ai servizi essenziali, camminando per giorni nella paura estrema. La mancanza di percorsi sicuri e di assistenza di base espone le famiglie, in particolare donne e ragazze, a un rischio maggiore di sfruttamento e abusi, proprio mentre gli operatori umanitari di tutto il mondo celebrano i 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere».
Isadora Zoni, responsabile comunicazione per l'UNHCR in Mozambico, racconta una realtà fatta di abbandono e di mancanza dei fondi promessi per assistere una popolazione inerme e incolpevole: «Si tratta di madri che sono fuggite di notte con i loro figli in braccio. Io stessa ho conosciuto una donna di nome Filomena che aveva un bambino ed è fuggita poche ore dopo la nascita, ancora in preda alle doglie. Quindi, questa realtà è davvero molto complessa e molto triste. Persone con disabilità, alcune delle quali vengono lasciate indietro, minori non accompagnati. La realtà che percepiamo, anche in questi rifugi, è che la maggior parte sono bambini. E’ urgentemente necessario un sostegno».
L'afflusso improvviso di nuovi profughi sta esercitando un'enorme pressione sulle comunità ospitanti, già fragili - storicamente votano per l’opposizione della Renamo e il Frelimo le considera come avversarie - che si trovano ad affrontare anche l'insicurezza. Creach evidenzia che «Scuole, chiese e spazi aperti sono affollati di famiglie appena arrivate, molte delle quali dormono all'aperto. La mancanza di illuminazione e di privacy in questi rifugi comuni espone donne e ragazze, che hanno già affrontato viaggi pericolosi verso la sicurezza, a nuovi rischi di violenza sessuale e di genere, mentre gli anziani e le persone con disabilità lottano in luoghi non accessibili o attrezzati per le loro esigenze. I bambini sono arrivati esausti, traumatizzati e indeboliti dopo giorni di cammino, alcuni malnutriti e con i piedi gonfi. Molti sono soli o separati dalle loro famiglie, soli in un ambiente sconosciuto, ad affrontare paura, incertezza e rischi».
Le agenzie Onu e i team umanitari sul campo stanno identificando le persone a maggior rischio, aiutando le famiglie a riunirsi e svolgendo attività di sensibilizzazione a livello comunitario per condividere informazioni e rafforzare la sicurezza dei nuovi arrivati. Ma, con l'aumentare dei bisogni di giorno in giorno, Onu e ONG stanno esaurendo le risorse, lasciando migliaia di famiglie in un limbo. Creach denuncia che «Con il rapido aumento degli sfollamenti e la scarsità di fondi disponibili per l'ultimo mese dell'anno, i servizi essenziali – tra cui protezione, alloggi, cibo, acqua e servizi igienico-sanitari – sono sottoposti a grave pressione. Collettivamente, gli attori umanitari – agenzie delle Nazioni Unite, ONG nazionali e internazionali, istituzioni governative, settore privato e le comunità stesse attraverso sforzi di solidarietà locale – non possono sostenere la risposta senza ulteriore supporto e risorse. Con l'aggravarsi del conflitto e il crescente pericolo per i civili, l'UNHCR chiede urgentemente un sostegno internazionale per proteggere le persone costrette a fuggire, rafforzare le comunità ospitanti sovraccariche e prevenire un ulteriore deterioramento della crisi. Allo stesso tempo, affrontare le cause profonde del conflitto rimane fondamentale per ripristinare la stabilità e interrompere il ciclo di violenza e sfollamenti nel Mozambico settentrionale».
Siamo di fronte a un’imminente catastrofe umanitaria in un’area dove le multinazionali dell’Oil&Gas continuano a fare affari d’oro con il corrotto governo di Maputo, ma dove mancano i finanziamenti per salvare la gente da guerre, fame e malattie. La Zoni ha lanciato un accorato appello: «Entro il 2026, l'UNHCR avrà bisogno di 38,2 milioni di dollari. Questa è la stima basata sulle esigenze di protezione rilevate sul campo. E queste esigenze stanno aumentando ora, in un momento molto delicato, poiché nel 2025 abbiamo ricevuto solo il 50% del budget stanziato per soddisfare le esigenze nel nord del Mozambico. Quindi lo scenario è piuttosto preoccupante».
E’ lo scenario di una guerra civile e transfrontaliera che in realtà punta proprio a impossessarsi delle royalties di quelle risorse energetiche fossili tanto care a Giorgia Meloni che continua nel suo pellegrinaggio africano per stringere le mani sporche di sangue dei presidenti di regimi petro-autoritari Di fronte alla catastrofe umanitaria nuovamente denunciata dall’ UNHCR, l’Italia che estrae il gas dal mare del Mozambico e lo trasforma in GNL, manterrà le promesse fatte a un popolo che è vittima di una falsa guerra di religione tra gli “islamisti” Al-Shabaab e altre milizie armate e un esercito che da liberatore si è trasformato in persecutore?