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Csrd: solo un quarto delle aziende italiane ha adottato un piano di transizione climatica

L’Osservatorio Ca’ Foscari–Bdo fotografa il debutto della rendicontazione di sostenibilità Csrd: report italiani più lunghi e dettagliati, ma strategie climatiche ancora deboli e pochi obiettivi net-zero
 |  Crisi climatica e adattamento

Con la pubblicazione delle prime Dichiarazioni di sostenibilità conformi alla Csrd (Corporate Sustainability Reporting Directive), emerge un quadro contrastante: le grandi imprese italiane appaiono più dettagliate delle omologhe europee, ma ancora in ritardo sulla transizione climatica. Solo il 24% delle società italiane ha infatti formalmente adottato un piano di transizione climatica, contro il 76% delle aziende europee, e appena il 7% può vantare un obiettivo Net-Zero validato dalla Science Based Target Initiative.

È il dato più emblematico del primo rapporto dell’Osservatorio Ca’ Foscari–Bdo, promosso dal Sustainability lab della Venice school of management dell’Università Ca’ Foscari Venezia e da Bdo Italia, che ha analizzato 131 società italiane quotate su Euronext Milan e 159 società europee dello STOXX Europe 600, distribuite in sette Paesi che hanno già recepito la direttiva (Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Norvegia, Polonia e Svezia).

L’Osservatorio ha rilevato che i report italiani sono in media più estesi di quelli delle aziende europee (144 pagine contro 111) e contengono più IRO rilevanti (49 contro 37). Tuttavia, la mole di dati rischia di comprometterne l’efficacia comunicativa, rendendo la rendicontazione meno focalizzata e dispersiva.

«L’Osservatorio si propone come un punto di riferimento essenziale che mette in dialogo mondo accademico e pratica operativa, permettendo di analizzare in che modo la Csrd e gli Esrs influenzino i processi di rendicontazione delle aziende e, più in generale, la transizione sostenibile dell’economi – afferma la Prof.ssa Chiara Mio, direttrice del Sustainability lab della Venice school of management – Con questa ricerca vogliamo fornire un apporto rilevante non solo alle imprese e ai loro stakeholder, ma anche a standard setter e policymaker, impegnati a rendere la normativa più chiara ed efficace».

La percezione di elevata complessità e onerosità della rendicontazione ha spinto molte società a privilegiare, dove possibile, soluzioni semplificate. Le imprese hanno fatto ampio utilizzo delle possibilità di omissione di alcune informazioni previste dalle misure transitorie (phase-in), omettendo in media cinque requisiti informativi, in particolare quelli legati agli effetti finanziari attesi dai rischi di sostenibilità. Solo il 9% delle imprese italiane continua a utilizzare anche i GRI Standards, segno di una limitata integrazione con altri modelli di reporting.

Dal processo di doppia materialità, una delle novità principali della Csrd, emerge un approccio prudenziale: le imprese italiane segnalano in media 16 impatti negativi contro 12 positivi, e 16 rischi contro 8 opportunità legate alla sostenibilità. La sostenibilità, insomma, appare ancora più come un insieme di sfide da gestire che di opportunità da cogliere.

Tutte le imprese analizzate dedicano ampio spazio al cambiamento climatico, trattandolo come uno dei due assi portanti delle prime Dichiarazioni di sostenibilità, insieme alla forza lavoro propria.
Le sezioni sul clima affrontano in modo approfondito temi di mitigazione, adattamento, uso dell’energia, gestione delle emissioni e rischi fisici e di transizione. Tuttavia, raramente tali analisi si traducono in strategie concrete di decarbonizzazione o in piani di investimento strutturati.

La ricerca mostra come il percorso verso la neutralità climatica sia ancora agli inizi, soprattutto in Italia: solo il 19% delle società italiane ha ottenuto la validazione degli obiettivi climatici di breve termine, contro il 69% delle europee.
Il risultato è un paradosso, il tema climatico domina la narrazione, ma resta debole nella pianificazione operativa e negli impegni misurabili.

«Nella storia evolutiva della sostenibilità degli ultimi trent’anni, non è difficile imbattersi in continue accelerazioni e decelerazioni. La domanda vera da farsi per un’impresa - di fronte a un cambio di paradigma qual è quello che stiamo vivendo - è quanto sia giusto approcciare la Csrd come un mero esercizio di compliance normativa o piuttosto investire nella sostenibilità quale strumento per interpretare i cambiamenti del contesto esterno e tradurli in innovazione organizzativa, di prodotto e di processo – commentano la Dott.ssa Valeria Fazio, partner Sustainable innovation Bdo Italia, e il Dott. Stefano Bianchi, partner Audit & assurance Bdo – L’osservazione del mercato ci dice che questo secondo passaggio molte imprese - grazie alla Csrd e nonostante tutti i suoi eccessi - stanno cominciando a farlo».

L’Italia si mostra dunque diligente nell’applicazione della nuova direttiva europea, ma ancora timida nel trasformarla in motore di cambiamento reale. La transizione climatica non è più solo un obbligo di rendicontazione, è il banco di prova per capire se le imprese italiane sapranno trasformare la sostenibilità da vincolo burocratico a leva di competitività e innovazione.

Vincenza Soldano

Vincenza per l’anagrafe, Enza per chiunque la conosca, nasce a Livorno il 18/08/1990. Perito chimico ad indirizzo biologico, nutre da sempre un particolare interesse per le tematiche ambientali, che può coltivare in ambito lavorativo a partire dal 2018, quando entra a fare parte della redazione di Greenreport.it