
Alieni nel piatto: ripensare le specie invasive a tavola

Il celebre dipinto di René Magritte ci invita a mettere in discussione ciò che vediamo — e ciò che crediamo di sapere. Il granchio blu (Callinectes sapidus), spesso liquidato come una delle tante specie invasive nel Mediterraneo, è una presenza fraintesa. Nelle cucine dell’Alto Adriatico e oltre, è tempo di riconsiderare questo crostaceo non solamente come una minaccia, ma come simbolo di resilienza, innovazione e potenziale gastronomico.
Ma mentre il cambiamento climatico e la globalizzazione rimodellano i nostri ecosistemi, anche i nostri piatti devono trasformarsi. In luoghi come Chioggia, in Italia, i piccoli pescatori si adattano ogni giorno a un mare in mutamento. Tra le sfide più grandi: la proliferazione del granchio blu atlantico, che prospera ormai nel Mediterraneo sempre più caldo.
Granchio Blu, Granchio Blu. Sembra che tutti ne parlino ultimamente. Se la cucina dell’Alto Adriatico è tradizionalmente associata a molluschi e crostacei, ora c’è un nuovo protagonista: il granchio blu. Avvistato per la prima volta nelle acque locali negli anni ’50, è ormai molto più di un semplice ospite indesiderato. Questo crostaceo danneggia attrezzi da pesca come reti e trappole, causando perdite di pescato e riduzione del reddito, e costringendo i pescatori ad adattarsi — cambiando specie target, zone di pesca o usando attrezzi diversi — con ulteriori costi e difficoltà. Ma invece di combattere una battaglia persa, molti si chiedono: E se questa specie “invasiva” potesse diventare una risorsa?
Negli Stati Uniti, il granchio blu è una prelibatezza culinaria. Ricco di proteine e povero di grassi, è molto apprezzato e compare in piatti famosi come le crab cakes o le zuppe. A Chioggia, però, la sua immagine fatica ancora a decollare. “La gente non sa cucinarlo”, racconta Tiziano Bullo, pescatore locale. “Ci sono troppi cliché – come l’idea che le femmine non siano buone, o che i granchi siano vuoti in certi periodi. Ma non è vero. È una specie non adeguatamente valorizzata.”
La gastronomia non è statica. Si evolve – con l’ambiente, con le persone, e con le storie che raccontiamo. Speriamo che il granchio blu non diventerà mai una specie autoctona del Mediterraneo, ma ormai è presente. Facciamogli spazio nei nostri menù, e in questo modo, costruiamo una cultura gastronomica che rifletta la complessità, la resilienza e l’interconnessione tra i nostri mari.
Per sbloccare questo potenziale, dobbiamo diversificare il nostro consumo di pesce e riconoscere il ruolo cruciale della piccola pesca nel sostenere le economie locali e i sistemi alimentari. Un miglior marketing, un maggiore supporto politico e la collaborazione tra autorità locali e pescatori potrebbero supportare la valorizzazione di prodotti come il granchio blu, riducendo la pressione su specie sovrasfruttate e favorendo la resilienza del settore.
Una dieta più sostenibile significa abbracciare la diversità – non solo di specie, ma anche di provenienza. Se i grandi rivenditori acquistano circa il 70% del pesce venduto al mercato di Chioggia, raramente distinguono tra prodotti della piccola pesca e quelli ottenuti con metodi più impattanti. Eppure gli attrezzi usati dalla piccola pesca sono spesso più selettivi, meno dannosi per gli habitat e più rispettosi dell’equilibrio ecologico.
“Affrontare una crisi di queste dimensioni solo tramite la sensibilizzazione di consumatori e chef non basta, viste le difficoltà che affrontano molte attività”, spiega Giulia Prato, Responsabile Mare del WWF Italia. “Serve un programma ben pianificato, su due fronti: da un lato il controllo della popolazione del granchio blu attraverso metodi di pesca passiva – su cui stiamo lavorando con pescatori, ricercatori e autorità locali – e dall’altro lo sviluppo di filiere sostenibili basate sull’uso di questa specie invasiva, secondo un modello di economia circolare a zero sprechi. Ci ispiriamo ad iniziative già attuate con successo in Tunisia.”
Scegliere specie locali meno conosciute o specie invasive come il granchio blu non è solo una decisione culinaria. È un atto di solidarietà verso le comunità costiere. È un investimento nella salute del mare. Ed è una celebrazione dell’innovazione e dell’adattabilità di fronte al cambiamento climatico.
