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Covid-19, possibile il riuso delle mascherine? Lo spiegano il ministro della Salute e dell’Ambiente

Il lavaggio con acqua calda e detergente assicura un’adeguata sicurezza biologica, ma non tutte le mascherine possono essere riutilizzate. L'importante è non disperderle nell'ambiente
 |  Green economy

Secondo i dati comunicati dall’Ispra, la produzione complessiva di rifiuti derivanti dall’utilizzo di mascherine e guanti fino alla fine del 2020 sarà ricompresa tra le 160.000 e le 440.000 tonnellate, con un valore medio di 300.000 tonnellate. Un dato che seppur rilevante non si attende possa mettere in crisi il ciclo di gestione di questi rifiuti se correttamente conferiti dai cittadini, ma che diventa critico guardando a quanti vengono incivilmente abbandonati in natura. Anche per questo è importante incoraggiare il riuso di guanti e mascherine, quando possibile.

«Le mascherine di uso comune (non quelle per i sanitari) possono essere lavate e sanificate, e si possono usare fra le 10 e le 15 volte. Questo vuol dire che una famiglia media di 4 persone ne usa due o tre a persona al mese, una decina in tutto», secondo quanto afferma dal ministero dell’Ambiente Sergio Costa, che dichiara di lavare e riutilizzare le proprie mascherine.

Una discriminante importante è però proprio il tipo di mascherina, come ha spiegato ieri in commissione parlamentare Ecomafie il ministro della Salute Roberto Speranza. Come sintetizza la stessa commissione è possibile il riuso delle mascherine di comunità, adatte alla protezione individuale nella vita quotidiana, attenendosi alle indicazioni fornite dal produttore anche sul numero di lavaggi. Rispetto invece alle mascherine chirurgiche, il ministro ha spiegato che al momento non sono disponibili test sulle caratteristiche di prodotti monouso ricondizionati. Relativamente alle mascherine FFP2 ed FFP3, ha poi aggiunto che un loro ricondizionamento porta con sé numerose criticità, soprattutto di natura biologica e meccanica, oltre che di sicurezza degli operatori addetti alla sanificazione dei dispositivi, al momento non risolte. Secondo quanto riferito, sono in corso numerosi studi sul loro possibile ricondizionamento.

Ma cosa sono le mascherine di comunità? Come già dettagliato dall’Istituto superiore di sanità, non devono essere considerate né dei dispositivi medici, né dispositivi di protezione individuale, ma una misura igienica utile a ridurre la diffusione del virus Sars-Cov-2: hanno lo scopo di ridurre la circolazione del virus nella vita quotidiana e non sono soggette a particolari certificazioni.  Si tratta dunque mascherine monouso o lavabili, anche auto-prodotte, in materiali multistrato idonei a fornire un’adeguata barriera e che permettano di coprire dal mento al di sopra del naso.

Nel caso in cui compaiano sintomi riconducibili a Covid-19, in ogni caso, le mascherine di comunità non vanno più bene: è necessario l’utilizzo di mascherine certificate come dispositivi medici.

Una volta terminate le possibilità d’uso, le mascherine vanno poi gettate nell’indifferenziato:  saranno avviate prioritariamente a termovalorizzazione o in discarica, in modo da minimizzare i rischi di contagio, come da indicazioni confermate anche dal ministero dell’Ambiente e dall’Ispra. L’importante è che non vengano disperse nell’ambiente: «Guanti e mascherine non devono mai essere gettati per terra», dichiara al proposito l’Istituto superiore di sanità.

Più in generale è utile ricordare che già prima dell’emergenza Covid-19 (anno 2018) la produzione di rifiuti sanitari pericolosi ammonta a circa 169.000 tonnellate/anno in Italia. La quota prevalente (82,5%) è rappresentata dai rifiuti a rischio infettivo: di queste 143.530 tonnellate, 95.815 vengono incenerite, 47.715 avviate a sterilizzazione.

Redazione Greenreport

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