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Senza porre un freno al feticcio della crescita economica infinita, la sostenibilità resta un’utopia

Già Marx spiegava che «padre della ricchezza materiale è il lavoro, sua madre è la Terra». Una lezione che, da “Il Capitale” a oggi, ancora non abbiamo compreso
 |  Green economy

La vulgata narra che Marx ignorasse del tutto, o quasi, la dimensione ambientale della produzione industriale e dei consumi delle merci. Non è così. Nel primo capitolo del libro primo de “Il Capitale” Marx scriveva: «La ricchezza delle società nelle quali domina il modo di produzione capitalistico (oggi ovunque) si presenta come una enorme raccolta di merci […] I corpi delle merci sono combinazioni di due elementi: materia fornita dalla natura e lavoro. Dunque il lavoro non è l’unica sorgente della ricchezza materiale», continuava Marx: «Padre della ricchezza materiale è il lavoro, sua madre è la Terra». La Terra, ovvero la materia prima con la quale dopo “trasformazioni e ritrasformazioni” si producono le merci.

La quantità di risorse naturali estratte per la produzione mondiale è in aumento costante. Secondo il Global resource outlook dell'International resource panel per il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (Unep), l'estrazione e il consumo di risorse naturali sono triplicati negli ultimi cinque decenni. Nel 1970, il consumo globale di materie prime era di circa 30 miliardi di tonnellate, mentre nel 2024 è arrivato a 106 miliardi di tonnellate.

Se questo ritmo continuasse – e tutti gli indicatori su scala globale non accennano a diminuire neanche se l’Occidente decidesse un “reshoring” massiccio delle produzioni delocalizzate – il consumo globale di materie prime aumenterebbe ancora del 60% entro il 2060.

Appare evidente, o meglio, dovrebbe apparire evidente, che crescita economica (il famoso Pil) e materia finale di scarto (i famosi rifiuti) non solo “mostrano una correlazione interessante” come osserva l’Ispra, bensì i secondi sono diretta e ineludibile conseguenza della prima. Si chiama entropia. Unica legge universalmente rispettata da tutti. E ciò a prescindere anche dalle migliori performances di riduzione, riuso e riciclo della materia scartata. Un padre nobile dell’economia ecologica come Herman Daly affermava che anche se in una nave viene collocato il carico in modo perfettamente ordinato, qualora lo stesso (il carico) superasse la capacità di portata la nave affonderebbe. E Kenneth Boulding osservava che «chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo o un economista».

Già oggi infatti, afferma sempre l’Unep, l'estrazione di risorse è responsabile del 60% degli effetti del surriscaldamento globale, del 40% dell'inquinamento atmosferico e di oltre il 90% dello stress idrico globale e della perdita di biodiversità.

Anche l’Europa (e con essa l’Italia), che pure vanta(no) politiche all’avanguardia mondiale nella gestione dei flussi di materia, con il solo 7% della popolazione mondiale, consuma il 20% delle risorse globali. Degli Usa non ne parliamo. Se tutti i Paesi del mondo consumassero come loro sarebbero necessari 5 pianeti Terra per soddisfare le esigenze globali.

Morale: senza mettere in discussione il feticcio della crescita non se ne uscirà. Oppure, come sta accadendo anche con l’informatizzazione, l’elettrificazione e l’intelligenza artificiale, ne usciremo con la moltiplicazione delle guerre. Insomma, prima ancora che la nave di Daly affondi, si autodistruggerà.

Vitaliano Milani

Con alle spalle una lunga carriera che ha attraversato il mondo della politica e dell’ambientalismo, è esperto di transizione ecologica ed economia circolare in particolare, vantando esperienze di spicco come dirigente d’impresa sempre in aziende ambientali. Su greenreport cura la rubrica “L’antitési”, per illuminare le zone d’ombra che restano fuori dal punto di vista delle narrazioni mainstream sulle notizie relative alla sostenibilità eco-sociale.