
Come imparare a coltivare il mare anziché predarlo, un’ostrica alla volta
I mari sostengono la vita sulla Terra, ma noi gliela stiamo togliendo un peschereccio alla volta. Il Mediterraneo è il secondo mare più sfruttato al mondo con ben il 58% degli stock ittici sovrapescati (contro il 37,7% a livello globale), e spicca anche tra i principali hot spot della crisi climatica in corso: se le temperature degli oceani sono aumentate in media di 1,45°C dall’era pre-industriale, nel Mare Nostrum si superano già i +2°C. Che fare?
Per contribuire a invertire la rotta, nel Golfo dei Poeti ambientalisti, cooperative e mondo della ricerca stanno unendo le forze, per riportare alla luce una tradizione mediterranea che affonda le radici nel mondo greco romano: coltivare il mare attraverso le ostriche, tornando a renderle un cibo sostenibile e per tutte le tasche.
Paolo Varrella, presidente della Cooperativa mitilicoltori associati della Spezia e storico esponente di Legambiente, ci spiega che «nel nostro Paese l'ostricoltura moderna ha iniziato a rinascere solo negli ultimi 30 anni. Fino agli anni ‘70 e ‘80 la produzione italiana era minima, poi è stata lentamente riscoperta».
Gli allevamenti italiani si trovano prevalentemente in aree costiere e lagunari, contribuendo così a ridurre ulteriormente l’impronta ambientale, in quanto limitano il consumo di carburante per le operazioni. Fra i principali poli di produzione ci sono il Golfo della Spezia, diverse aree della Sardegna (Olbia, San Teodoro, Tortolì, Alghero), l’Emilia-Romagna (Goro e Comacchio), la Laguna Veneta e la Puglia.
Nel 2023 in Italia si producevano circa 500 tonnellate di ostriche, ma «oggi stimiamo che la produzione possa essere già raddoppiata», aggiunge Varrella. Tuttavia, la domanda interna – che raggiunge le 10mila tonnellate l’anno – è ancora largamente soddisfatta da prodotti importati.
Ma lungo lo Stivale le sfide sono ormai un’abitudine: la proliferazione di specie aliene come il granchio blu e la diffusione delle orate di ceppo atlantico, probabilmente sfuggite dagli allevamenti intensivi di pesce, hanno creato danni significativi soprattutto alla filiera dei mitili. Motivi in più per fare spazio all’allevamento delle ostriche, anche se sarebbe più sensato parlare di coltivazione.
«Si tratta di due approcci completamente diversi – conferma Varrella – perché allevare implica anche somministrare cibo. Al di là di mettere dei corpi morti sul fondo del mare, o delle cime con dei galleggianti, quando si parla di molluschi questi animali fan tutto da soli. Inoltre un quintale di ostriche sequestra circa 40 kg di CO₂ equivalente: questo ruolo ecologico prezioso dovrebbe essere riconosciuto e incentivato economicamente, attraverso strumenti come i carbon credit. Basti osservare che già oggi l'allevamento delle cozze in Italia sequestra ogni anno 19mila tonnellate di anidride carbonica. Ovviamente però anche questa filiera produttiva comporta impatti ambientali, che vanno affrontati».
Per rendere sempre più sostenibile la produzione locale, la cooperativa spezzina partecipa insieme a Legambiente al progetto europeo Life Muscles (Mussels and shellfish culture for ecosystem services), un’iniziativa che sta già sostituendo le calze in rete di polipropilene – che finora erano l’unica soluzione disponibile sul mercato per l’allevamento dei bivalvi – con nuove retine in plastica biocompostabile.
Ma non è soltanto l’assorbimento di CO₂ a rendere le ostriche preziose per l’ambiente marino. Chiara Lombardi, ecologa marina presso il Centro ricerche ambiente marino Santa Teresa dell’Enea alla Spezia, sottolinea che «l’ostrica piatta è in grado di formare una specie di reef – i cosiddetti letti ad ostriche – che a livello di funzione sono paragonabili alle barriere coralline dei tropici: strutture che ospitano tantissimi organismi e dunque promuovono la biodiversità. Inoltre le ostriche sono dei filtratori, dunque ci aiutano a ripulire il mare». Lombardi coordina un ambizioso progetto d’interesse nazionale, Smart Bay Santa Teresa, che mira proprio al recupero Ostrea edulis. Già oggi ricercatori e cooperatori aiutano questo processo riciclando i gusci dei mitili «per stampare in 3D moduli artificiali su cui crescono nuovi reef», racconta Varrella. Un perfetto esempio di economia circolare che «nasce dal mare e al mare ritorna».
Alla sostenibilità ambientale si unisce quella socioeconomica, dato che le ostriche hanno il doppio vantaggio di venire incontro a consumatori sempre più esigenti e attenti alla salute: dal punto di vista nutrizionale, le ostriche sono alimenti poveri di grassi, con un basso apporto calorico (70-90 Kcal per 100 g), e ricche di proteine, sali minerali e vitamine di alta qualità. Il tutto a costi accessibili – del resto vengono raccolte sin dalla preistoria –, nonostante la retorica che le associa allo champagne: «Lo sai quanto costano le nostre ostriche? Dai 7 ai 15 euro al chilo, quando il culatello ne costa almeno 70. Dieci volte tanto», snocciola Varrella.
Il crescente interesse del pubblico e degli operatori del settore ha trovato conferma nel successo ottenuto dal Festival dell’ostrica italiana 2025, svoltosi alla Spezia con un’importante partecipazione da tutta Italia e 12mila ostriche vendute in due giorni e mezzo. L’evento ha mostrato come la cultura dell’ostricoltura stia tornando a essere percepita non soltanto come una preziosa tradizione gastronomica, ma soprattutto come un’attività economica in armonia con la natura e coi bisogni delle comunità costiere.
Per garantire ulteriormente la crescita del settore, sarebbero utili interventi normativi chiari: «È urgente armonizzare a livello nazionale le procedure amministrative sulle concessioni demaniali e ridurre l’Iva al 10%, equiparando le ostriche agli altri molluschi, per sostenere lo sviluppo sostenibile dell’ostricoltura italiana», chiosa Varrella.
Coltivare ostriche lungo le coste del Bel Paese può tornare a essere un modo concreto per imparare a vivere in equilibrio con il mare, riscoprendo una risorsa millenaria che può contribuire a rigenerare il nostro Mediterraneo, incrociando la tradizione greco romana con l’innovazione rappresentata dall’economia circolare e dal ripristino della natura.
Ringraziamo il collega Matteo Parlato - che ha realizzato il servizio - e l'intera redazione di RaiNews24 per la gentile concessione del video riportato in testa all'articolo.
