
Europarlamento, offensiva del Ppe per smontare la direttiva anti-greenwashing

Pezzo dopo pezzo, il gruppo dei Popolari europei sta lavorando per depotenziare l’impianto complessivo del Green deal. Dopo aver siglato un’intesa con le forze di destra estrema per far rinviare di un anno le nuove norme contro la deforestazione, dopo la battaglia contro le multe alle case automobilistiche che non rispettano i limiti delle emissioni di gas serra e dopo le altre iniziative per annacquare le politiche comunitarie sul clima approvate la scorsa legislatura nascondendosi dietro il bel titolo «per un’agenda di semplificazione», ora è finita nel mirino del Ppe la direttiva anti-greenwashing. Il motivo è sempre lo stesso, sollevato dai conservatori europei anche in passato: non si possono creare difficoltà alle aziende europee con troppa burocrazia e un eccesso di regolamentazione. E allora anche quella direttiva, la Green Claims Directive (Gcd), deve essere «riconsiderata» o, dovessero rimanere tali norme, direttamente «ritirata».
Il motivo per cui i vertici comunitari hanno introdotto gli obblighi in essa contenuti è semplice: i consumatori possono essere fuorviati da quanto dichiarato sulle etichette dei prodotti e le aziende possono dare una falsa impressione dei loro impatti o benefici ambientali con azioni, appunto, di greenwashing. La Gcd fissare dunque precise norme per i produttori, tutte volte a garantire che le etichette e le affermazioni ambientali diffuse anche con messaggi pubblicitari siano credibili e affidabili, così da ai consumatori di prendere decisioni di acquisto più informate. Oltre al fatto, sottolineano da Bruxelles, che quanto previsto dalla direttiva contribuirà anche a favorire la competitività delle imprese che si sforzano di aumentare la sostenibilità ambientale dei loro prodotti e delle loro attività.
Per le forze di centrodestra presenti nel Parlamento europeo, però, tutto ciò non va bene. Le eurodeputate del Ppe Arba Kokalari e Danuše Nerudová hanno scritto una lettera alla commissaria Ue per l’Ambiente Jessika Roswall per chiedere appunto di rivedere o anche ritirare del tutto la Green Claims Directive. La quale, a loro giudizio, «rischia di ostacolare indebitamente la comunicazione sulla sostenibilità attraverso procedure eccessivamente complesse, amministrativamente onerose e costose». Scrivono le due esponenti del Ppe: «Sebbene alcuni elementi della Gcd meritino un’ulteriore riflessione, l’introduzione di un requisito di approvazione preliminare per le dichiarazioni ambientali è un’idea fondamentalmente sbagliata. La prea-pprovazione delle dichiarazioni non è un meccanismo standard nel mercato interno e non è applicato in tutti i settori. Questo approccio si discosta dalle pratiche consolidate del mercato interno e può creare un precedente che è difficile da conciliare con i nostri obiettivi più ampi di coerenza normativa, competitività e semplificazione amministrativa».
Come ricorda il sito Euractiv, la proposta di questa direttiva è stata originariamente presentata dalla Commissione europea quasi due anni fa, nel settembre 2023, e il suo contenuto da allora è stato notevolmente annacquato per pressioni fatte dalle forze europeiste conservatrici. E questa lettera arriva in un momento non casuale, considerato che lunedì della prossima settimana si terrà il ciclo di negoziati conclusivo dedicato alla direttiva. Come dichiara sempre a Euractiv l’eurodeputata del gruppo dei Verdi Alice Bah Kuhnke, «il Ppe sta cercando di staccare la spina alla protezione dei consumatori e del clima, minando il processo legislativo». E considerati i numeri presenti a Strasburgo, a meno di un dietrofront del Ppe, gruppo tra le altre cose di cui fa parte la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il destino della direttiva anti-greenwashing rischia di essere già segnato.
