Skip to main content

Campanella (Fead): «L'assenza di una chiara clausola 'Made in Europe' è un'occasione persa»

L’Ue ha perso capacità di riciclo della plastica per 1 milione di tonnellate

L’industria di settore sta attraversando la recessione più profonda mai registrata, e le misure proposte sia dalla Commissione Ue sia dal Tavolo plastiche del Mase ancora non bastano
 |  Green economy

La Commissione Ue ha presentato ieri un primo pacchetto di misure a sostegno dell’economia circolare della plastica, che nel Vecchio continente – Italia compresa – sta attraversando una crisi profonda per quanto riguarda la filiera del riciclo.

«Il settore del riciclo della plastica – riconosce la Commissione – si trova ad affrontare crescenti pressioni: mercati frammentati per i materiali riciclati, elevati costi energetici, prezzi volatili della plastica vergine e concorrenza sleale da parte di paesi terzi. Queste sfide stanno già avendo ripercussioni negative, con una riduzione dell'utilizzo della capacità produttiva e perdite finanziarie per le aziende di riciclo dell'Ue, che minacciano gli obiettivi di circolarità e la competitività industriale dell'Ue».

In termini assoluti, a causa della crisi in corso la capacità di riciclo dell’Ue è diminuita dal suo picco di ben 1 milione di tonnellate, pari all’intera capacità di riciclo della Francia: si tratta di impianti fermi e dunque a rischio fallimento, da cui l’Italia non è certo al riparo.

A soffrire è soprattutto chi fa “solo” riciclo: ovvero acquista sul mercato gli imballaggi post-differenziata già selezionati dalle apposite piattaforme, li ricicla e poi li vende sul mercato generalista scontrandosi coi prezzi più bassi delle plastiche vergini o del riciclato estero. Sta assorbendo invece meglio il colpo chi può contare su una filiera integrata, gestendo al contempo la raccolta sul territorio, la selezione degli imballaggi e il riciclo effettivo delle frazioni plastiche; in questo modo le due attività a monte compensano in parte le difficoltà dell’ultimo tassello, dove comunque va meglio chi è in grado di produrre granuli sulla base di specifiche precise da parte dei clienti finali anziché presentarsi semplicemente sul mercato con un prodotto generico.

È il caso della pontederese Revet, il principale hub del riciclo dell’Italia centromeridionale – che nella crisi in corso sta comunque investendo 11 mln di euro per raddoppiare la propria capacità di riciclo delle plastiche –, con l’ad Alessia Scappini che ha comunque ben presenti le necessità del settore: «Serve un intervento più coraggioso del legislatore, che si muove su questi temi ancora a macchia di leopardo, introducendo controlli efficaci nelle importazioni, misurazione delle performance ambientali con riconoscimento dei crediti di carbonio, accesso ad energia rinnovabile a prezzi calmierati per il settore della green economy». Appena due giorni fa si è svolta al ministero dell’Ambiente la terza riunione del Tavolo plastiche, senza però aver ancora sciolto i nodi che gravano sul settore.

Ma anche il nuovo pacchetto di misure Ue offre solo risposte parziali, al momento. Tre le principali direzioni d’intervento, in attesa della nuova legge sull’economia circolare (Circular economy act) attesa per il 2026: uniformare a livello Ue per qualificare la cessazione del rifiuto (End of waste) e la conseguente trasformazione in materia prima seconda, in modo da favorire lo sviluppo di un mercato unico europeo per i prodotti in plastica riciclata (l’atto in progetto è aperto a consultazione pubblica, fino al 26 gennaio); nuove norme per il calcolo del contenuto riciclato nelle bottiglie di plastica monouso in Pet che aprono per la prima volta al riciclo chimico, riconoscendo che quest’ultimo «può svolgere un ruolo laddove i metodi di riciclo meccanico non sono praticabili, in particolare quando è necessario materiale riciclato di alta qualità, come nel caso degli imballaggi alimentari»; per garantire una concorrenza leale tra la plastica prodotta nell'Ue e quella importata, la Commissione sta creando codici doganali separati per la plastica vergine e quella riciclata, oltre a implementare un monitoraggio per i mercati Ue e globali di settore.

«La competitività e la resilienza dell'Europa dipendono dall'efficienza con cui utilizziamo le nostre risorse. – commenta nel merito Jessika Roswall, commissaria Ue per l'Ambiente – Si tratta di creare nuove opportunità per l'industria europea, accelerare la transizione verso la circolarità, ridurre le nostre dipendenze e garantire che la nostra economia sia pronta per il futuro».

Ma se questo è l’obiettivo, gli strumenti messi in campo ieri a Bruxelles non sono ancora in grado di raggiungerlo, come osserva la Federazione europea per la gestione dei rifiuti (Fead) sottolineando che «l'industria europea del riciclo della plastica sta attraversando la sua più profonda recessione mai registrata».

Sebbene le proposte della Commissione Ue «vadano nella giusta direzione», per la Fead «non rispondono alle esigenze immediate del settore del riciclo», dato che gli obiettivi obbligatori relativi al contenuto di materiale riciclato rischiano di essere raggiunti attraverso le importazioni anziché sostenere il riciclo in Europa.

«L'assenza di una chiara clausola 'Made in Europe' per il contenuto riciclato nel pacchetto della Commissione è un'occasione persa – spiega Paolo Campanella, segretario generale della Fead – In un momento in cui l'industria europea del riciclo della plastica sta affrontando una crisi senza precedenti, questo invia un segnale chiaramente insufficiente al mercato. Non fornisce il supporto immediato e concreto di cui i riciclatori hanno urgente bisogno per sopravvivere e continuare a investire».

Per questo in un  appello congiunto  presentato prima della pubblicazione del pacchetto Ue, Fead, Plastics recyclers Europe e Recycling Europe aveva esortato la Commissione a garantire che la plastica riciclata utilizzata per soddisfare gli obiettivi dell'Ue provenga da rifiuti post-consumo raccolti e riciclati in Europa e che requisiti equivalenti si applichino ai prodotti importati attraverso solide clausole speculari.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.