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Il controllo analogo dei Comuni in Acquedotto pugliese è solo formale, lo statuto è da rivedere

Anac invita la Regione ad adeguarlo per rispettare pienamente i principi europei e nazionali in materia di in house providing: solo in questo modo l’affidamento diretto potrà resistere a eventuali contestazioni
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Con il parere consultivo n. 32 del 30 luglio 2025 l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) è intervenuta sullo statuto della società incaricata della gestione del Servizio idrico integrato nella Regione Puglia, chiamata ad operare attraverso l’istituto dell’in house providing.

La richiesta di parere era stata avanzata dalla stessa Regione, a seguito del complesso processo di riorganizzazione avviato in vista della scadenza della concessione storica, prorogata sino al 31 dicembre 2025, e volto a consentire l’ingresso dei Comuni nel capitale sociale e l’adeguamento della governance alle prescrizioni del decreto-legge n. 153 del 2024.

Il nodo centrale della valutazione dell’Autorità è rappresentato dal cosiddetto controllo analogo congiunto, elemento imprescindibile secondo il diritto europeo e nazionale per legittimare l’affidamento diretto a una società interamente pubblica, senza ricorrere al mercato e alle procedure di evidenza pubblica. Il controllo analogo, definito dal decreto legislativo n. 175 del 2016 e ripreso nel nuovo Codice dei contratti pubblici, implica che l’amministrazione eserciti sulla società un’influenza determinante, paragonabile a quella che eserciterebbe sui propri uffici interni, incidendo sia sugli obiettivi strategici sia sulle decisioni fondamentali di gestione.

La Regione aveva approvato una legge ad hoc, la n. 14 del 2024, poi modificata dalla legge n. 42 del 2024, che prevede la cessione fino al venti per cento delle azioni ai Comuni attraverso una società veicolo a totale partecipazione pubblica e la contestuale riforma dello statuto della società affidataria. L’intento era quello di garantire ai Comuni, accanto alla Regione, la possibilità di incidere in modo congiunto sulle decisioni della società. Proprio la nuova configurazione statutaria è stata sottoposta al vaglio di Anac.

Dall’analisi emerge che, pur avendo formalmente recepito il modello dell’in house providing, lo statuto presenta diverse criticità. La partecipazione societaria rimane fortemente squilibrata, con l’ottanta per cento detenuto dalla Regione e solo il venti per cento ripartito tra 257 Comuni, ciascuno con quote minime e spesso infinitesimali. Questa frammentazione riduce la capacità dei Comuni di incidere realmente sulle scelte strategiche e sulla governance. La debolezza strutturale della loro posizione non è stata adeguatamente compensata da strumenti idonei a rafforzarne il ruolo.

Il Comitato di coordinamento e controllo, organo “extrasocietario” concepito per realizzare il controllo analogo congiunto, risulta dotato di poteri troppo deboli. Ai Comuni è riservata la nomina di un solo consigliere su sette, il che impedisce di influire in modo significativo sulle deliberazioni del consiglio di amministrazione. Lo stesso Comitato è composto da sei membri soltanto, chiamati a rappresentare centinaia di enti locali, e le sue decisioni sono adottate a maggioranza semplice, senza il principio capitario che consentirebbe di dare voce anche ai Comuni minori. Inoltre, la durata del mandato può arrivare fino a nove anni per effetto delle rielezioni consentite, con il rischio di congelare gli equilibri interni e di ridurre la rappresentatività.

Un ulteriore elemento problematico è rappresentato dalla possibilità che siedano nel Comitato anche rappresentanti di Comuni che non partecipano al capitale sociale. Secondo la giurisprudenza europea e nazionale, il controllo analogo presuppone invece una partecipazione effettiva alla società, sia sul piano del capitale sia su quello degli organi di governo, altrimenti viene meno il legame sostanziale che giustifica l’affidamento diretto.

Anac sottolinea poi che i pareri e le direttive del Comitato, pur formalmente vincolanti, possono essere superati dagli organi sociali in nome di un generico “interesse strategico regionale”. Una clausola che rischia di svuotare di fatto il ruolo dei Comuni, consentendo alla Regione di mantenere un potere preponderante e lasciando il Comitato in una posizione meramente consultiva. La possibilità di discostarsi dalle indicazioni dei soci con una motivazione rimessa agli amministratori rappresenta, per l’Autorità, una deroga troppo ampia rispetto ai principi fissati dalla Corte di giustizia a partire dalla sentenza Teckal, che esigono strumenti penetranti di direzione e coordinamento da parte degli enti pubblici partecipanti.

Anac richiama non solo la giurisprudenza europea, ma anche numerosi precedenti del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, che hanno chiarito come il controllo analogo debba essere sostanziale e non formale, idoneo a incidere sulle decisioni fondamentali della società, in particolare per quanto concerne la programmazione, gli investimenti, il bilancio e i contratti di servizio. Il rischio, secondo l’Autorità, è che nella configurazione attuale i Comuni non dispongano di strumenti reali per orientare la gestione e che l’affidamento ventennale del servizio idrico integrato perda la sua legittimazione.

Pur ribadendo che non rientra nei propri compiti esprimere un giudizio di legittimità sugli statuti delle società a partecipazione pubblica, Anac invita la Regione a riesaminare e adeguare il testo, rafforzando i poteri del Comitato e assicurando un controllo effettivo dei Comuni, così da rispettare pienamente i principi europei e nazionali in materia di in house providing. Solo in questo modo l’affidamento diretto potrà resistere a eventuali contestazioni e garantire una gestione del servizio idrico realmente conforme alle regole di concorrenza, trasparenza e buon andamento dell’amministrazione.

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Redazione Greenreport

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