Cala la domanda di gas, ma le infrastrutture in eccesso mettono a rischio la competitività italiana
Il gas naturale copre oggi circa il 35% del consumo interno lordo di energia in Italia, e rimane la fonte energetica principale in alcuni settori, dalla generazione elettrica, ai processi industriali e al riscaldamento. La buona notizia è che il fabbisogno di questo combustibile fossile, grazie alle strategie di decarbonizzazione ed autonomia energetica impostate a livello europeo, è già calato del 20% dal 2019. Ma ancora molto c’è da fare. E, soprattutto, c’è da valutare bene gli investimenti da fare in questo settore, perché costi infrastrutturali elevati avrebbero come conseguenza un ingente aumento delle tariffi di trasporto. E questo non avrebbe senso, alla luce del fatto che secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) la cosiddetta “Età dell’oro del gas” è terminata, e il consumo globale di gas dovrà ridursi, con tempistiche diverse tra i paesi, dell’80% al 2050 per rimanere allineato con gli impegni internazionali dell’Accordo di Parigi. A livello europeo, la diminuzione nell’uso della rete è stimata nell’ordine del 71-73% tra 2019 e 2050 in coerenza con la proposta della Commissione europea di ridurre le emissioni del 90% (rispetto al 1990) entro il 2040, come step intermedio per la neutralità climatica al 2050. A livello italiano, nel Piano nazionale per l’energia e il clima (Pniec) il governo si è impegnato a ridurre il consumo di gas naturale del 24% al 2030 e 39% al 2040 (rispetto al 2021).
Alla questione ha dedicato un approfondito e dettagliato report Ecco, il think tank italiano per il clima. Il titolo è già piuttosto esplicativo: “Il gas tra calo della domanda e infrastrutture in eccesso. Rischi per la competitività italiana”. Nel documento viene sottolineato che nel nostro Paese la domanda di gas è calata del 19% dal 2021, passando da 76 a 61 miliardi di metri cubi nel 2024. Secondo le previsioni del governo contenute nel Pniec e legate alle politiche comunitarie di decarbonizzazione, si stima un’ulteriore diminuzione, in valori assoluti, a 58, 46 e 24 miliardi di metri cubi rispettivamente entro il 2030, 2040 e 2050.
I ricercatori di Ecco segnalano anche che il contesto geopolitico attuale, caratterizzato dall’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina e ai dazi imposti dagli Stati Uniti, richiedono un’accelerazione da parte dell’Ue per un’autonomia energetica puntando su una maggiore indipendenza dalle importazioni estere, attraverso la progressiva sostituzione delle fonti fossili con le fonti rinnovabili.
Il rapporto elaborato dai ricercatori del think tank Ecco evidenzia anche la correlazione tra gli investimenti infrastrutturali e le tariffe di trasporto. Se gli investimenti previsti nei piani decennali degli operatori di rete (13,6 miliardi di €) venissero confermati, le tariffe aumenterebbero in modo significativo: tra il 18% e il 66% al 2030 e fino al 483% al 2050, a seconda dello scenario di riduzione della domanda considerato. Nello scenario di domanda centrato sugli attuali obiettivi del Fit For 55, le tariffe raddoppiano entro il 2040. Solo nel caso in cui gli investimenti, previsti oggi, si limitino a quelli già avviati (5,9 miliardi di €), l’aumento al 2040 è più contenuto, ma comunque rilevante (il 12% su un prezzo del gas ipotizzato attorno ai 20 €/MWh al 2050). Tali valutazioni, spiegano gli autori del report, si basano su ipotesi conservative che non includono i costi di dismissione, quelli di coordinamento con la rete di distribuzione e sostituzione post-2033, rendendo quindi sottostimato il fabbisogno reale di investimenti. Inoltre, la quota crescente di gas rinnovabili (biometano e idrogeno verde) e le tecnologie di cattura della CO₂, necessari a sostituire il metano nella transizione, con i loro costi di produzione elevati manterranno alta la pressione sui prezzi della commodity, alimentando di conseguenza la volontà di emancipazione dalla rete gas.
Il report di Ecco evidenzia che oggi il sistema regolatorio garantisce il ritorno degli investimenti indipendentemente dall’effettivo utilizzo della rete, trasferendo il rischio interamente sui consumatori. Questo rischia di incentivare sovrainvestimenti non giustificati né dalla sicurezza energetica né dagli obiettivi di decarbonizzazione. Le imprese, dl canto loro, si assumono un rischio minimo. Lo spiega Snam stessa all’interno della Relazione finanziaria annuale 2024 quando, nell’analizzare i «fattori di rischio e incertezza» legati nello specifico alla transizione energetica, scrive: «In forza di tale meccanismo, circa il 99,5% dei ricavi complessivi dell’attività di trasporto consentiti risulta garantito».
Nel report si segnala che il valore degli asset infrastrutturali regolati (la cosiddetta Rab) è già in aumento di un 4% annuo dal 2019 raggiungendo i 20,6 miliardi di € al 2024. Crescita che è in parte spiegata dagli effetti inflattivi, ma in parte anche da un aumento degli investimenti. Già oggi si stima che senza nuovi interventi l’infrastruttura di trasporto di Snam sia completamente ammortizzata intorno al 2045, quando, secondo il Governo, la domanda di gas sarà inferiore del 43% rispetto al 2024.
I ricercatori del think tank sottolineano che con politiche e investimenti nel settore energetico che spingono verso la riduzione dei consumi di gas metano è importante che la regolazione si ponga il problema di come bilanciare la tutela dei consumatori con la garanzia di remunerazione degli operatori. Investire risorse in infrastrutture che hanno bisogno di 45 anni per essere ammortizzate, andando oltre le tempistiche previsionali di domanda gas, espone gli utenti a un significativo rischio volume. Tali investimenti sovradimensionati non lasciano spazio a un approccio regolatorio più ragionevole che stabilisca tempi più rapidi di ammortamento. Si verificherebbe un incremento del valore degli asset da ripagare e di conseguenza tariffe più alte, con ulteriore aggravio del problema.
La conclusione dei ricercatori di Ecco è sintetica quanto chiara: come da direttiva Ue (2024/1788) sui mercati interni del gas rinnovabile, del gas naturale e dell’idrogeno, che impone agli Stati membri di garantire l’elaborazione di piani di disattivazione della rete di distribuzione nel caso di riduzione della domanda di gas naturale, è necessario che i regolatori richiedano un piano di uscita dal gas, incluso trasporto e distribuzione, al fine di integrarlo all’interno di in una pianificazione coordinata delle infrastrutture del gas e dell’elettricità. Tale pianificazione – è la sottolineatura finale – evita che i costi della transizione diventino un freno alla competitività del sistema e un onere insostenibile per i cittadini.