
Il ministro dell’Ambiente ha «scartato» l’idea del Deposito unico nazionale per i rifiuti radioattivi

Intervenendo all’evento Nuove energie organizzato da La Stampa alle Ogr di Torino, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto ha affermato di voler accantonare una progettualità che il Paese sta portando avanti da tre lustri: quella del Deposito unico nazionale per i rifiuti radioattivi.
«Stiamo studiando nuovi depositi di rifiuti radioattivi a bassa intensità. Abbiamo ormai scartato l’idea di un centro unico, perché è illogico a livello di efficienza, ma si può pensare di andare avanti con i 22 esistenti», dichiara il ministro a La Stampa, anche se lo scorso novembre il suo dicastero ha avviato la procedura di Valutazione ambientale strategica (Vas) sulla proposta di Carta nazionale delle aree idonee a ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi.
«Inizio a scartare l’ipotesi dei miei predecessori, perché mi sembra illogico a livello di efficienza e funzionalità avere un solo centro a livello nazionale – insiste Pichetto – Significherebbe far viaggiare ogni giorno i rifiuti da Torino a Palermo. Anche la Carta nazionale dei 51 siti idonei è ormai superata. Ecco perché la valutazione che sto facendo a livello ministeriale è creare più depositi, oppure andare avanti su quelli già esistenti».
Peccato che entrambe le opzioni appaiano non percorribili. Secondo Sogin, la società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi – nonché incaricata della realizzazione del Deposito unico – afferma chiaramente che «né i depositi temporanei né i siti che li ospitano sono idonei alla sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi».
Il Deposito unico nazionale è inoltre un obbligo di legge: l’Ue (articolo 4 della direttiva Euratom 2011/70) prevede che la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi avvenga nello Stato membro in cui sono stati generati, e nel recepire la direttiva con decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 45, l’Italia prevede la necessità di realizzare un Deposito nazionale unico.
È plausibile che dietro al cambio rotta del ministro si nascondano altri motivi rispetto alla paventata efficienza – Sogin stima la necessità di 1,5 miliardi di euro per realizzare il Deposito unico, quanto costerebbe costruirne molti? –, che hanno a che fare con la mancata volontà dei territori italiani di ospitarlo: eppure si tratta dell’unica nuova, sensata infrastruttura nucleare di cui il Paese avrebbe bisogno.
Il Deposito serve a ospitare in sicurezza i rifiuti radioattivi italiani a molto bassa e bassa attività (la cui radioattività decade a valori trascurabili nell’arco di 300 anni), e a stoccare in via temporanea – in attesa di un deposito geologico ad oggi inesistente – i rifiuti a media e alta attività (il cui decadimento richiede fino a centinaia di migliaia di anni). L’elenco delle 51 aree idonee è ospitarlo è stato pubblicato sul sito del ministero dell’Ambiente con la Carta nazionale delle aree idonee (Cnai) ormai oltre un anno fa, nel dicembre 2023, ma ancora la conclusione dell’iter si presenta come molto lunga: nessuno lo vuole ospitare, nonostante sia un’infrastruttura tanto sicura che l’analogo francese del Centre de l’Aube è collocato in una zona di produzione dello champagne.
Ed è questo il contesto in cui, ricordiamo, il Governo continua a parlare di costruire nuove centrali nucleari nel Paese. Chissà dove.
