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Ma tra gli impegni chiesti alle istituzioni mancano però semplificazione normativa e certezza del diritto

Da Legambiente e Libera cinque proposte per la giustizia ambientale, contro le ecomafie

Don Luigi Ciotti: «La lotta alle mafie sarebbe già stata debellata se non ci fossero coinvolgimenti tra mafia e politica che si sono succeduti negli anni in forme e modi diversi»
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

Si è conclusa la due giorni di ControEcomafie la Conferenza nazionale organizzata da Legambiente e Libera in collaborazione con l’Università Roma Tre e “Casa Comune” in occasione del decennale dell’approvazione della legge 68 del 2015 che ha introdotto i delitti contro l’ambiente nel nostro Codice penale.

I dati raccolti da Legambiente e Libera sui primi dieci anni di applicazione della legge sono preoccupanti: da quando è stata approvata la legge 68/2015 che ha introdotto i delitti ambientali nel Codice penale e riformato sistema sanzionatorio degli illeciti amministrativi e penali previsti nel Testo unico ambientale (D.Lgs 152/2006, noto anche come Codice dell’ambiente), in Italia si contano 6.979 i reati accertati.

La Campania è prima come controlli, reati complessivi (1.440), attività organizzata di traffico illecito di rifiuti (351), e relativi alla parte Sesta-bis del Testo unico ambientale (869). La Puglia è prima per il delitto di inquinamento ambientale (260) - seguita da Sicilia, Calabria e Campania - e per numero di arresti (100). La Calabria è prima per il reato di disastro ambientale (59). La Sicilia è prima come valore dei beni sequestrati (432,1 milioni di euro), seguita da Calabria e Campania. La Sardegna è prima per controlli e violazioni della legge 231/2001 (179) e seconda per quelli previsti dalla parte Sesta-bis del Testo unico ambientale.

«La lotta alle mafie, all'ecomafie, la tutela dell'ambiente – spiega Don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera – sono le nuove sfide, c'è una lettura nuova, necessaria che deve essere fatta oggi più che mai in questo momento. La lotta alle mafie sarebbe già stata debellata se non ci fossero coinvolgimenti tra mafia e politica che si sono succeduti negli anni in forme e modi diversi. Oggi c'è una patologia nazionale che si chiama corruzione ma guarda caso che alcuni meccanismi di contrasto alle mafie e corruzione sono stati messi in discussione e alcuni casi modificati. Ma anche noi dobbiamo impegnarci, fare la nostra parte darci una mossa e assumerci le nostre responsabilità. Abbiamo bisogno di persone che si impegnino di più».

Che fare, dunque? Legambiente e Libera hanno avanzato cinque proposte al Governo e al Parlamento, raccolte in un manifesto ad hoc: recepire quanto prima in tutti i Paesi dell’Unione europea la direttiva del 2024 per la tutela penale dell’ambiente, integrando il nostro Codice  penale con i nuovi delitti e definendo una strategia nazionale di lotta all’ecocriminalità;  definire, nell’ambito della Convenzione internazionale sulla criminalità organizzata, un quadro di impegni condivisi per il contrasto dei crimini transnazionali contro l’ambiente; inserire nel nostro Codice penale i delitti contro il patrimonio agroalimentare e quelli contro gli animali; rafforzare la lotta all’abusivismo edilizio, con risorse adeguate per Comuni, Prefetture, autorità giudiziaria e norme più efficaci; accelerare la bonifica dei Siti.

«Grazie al nostro lavoro trentennale di pressione e mobilitazione – argomenta il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani – siamo riusciti a far approvare dal Parlamento vere e proprie riforme di civiltà, come l’inserimento dei delitti ambientali e dei reati contro il patrimonio culturale all’interno del Codice penale. Ora è arrivato il momento di completare la rivoluzione normativa contro le ecomafie e la criminalità ambientale, a provando le norme contro gli animali e l’abusivismo edilizio. Non ci sono più alibi per ritardare ulteriormente queste riforme, anche alla luce del recente inserimento nella Costituzione italiana della tutela ambientale, della biodiversità e degli ecosistemi, insieme al principio fondamentale per cui non si può esercitare l’iniziativa economica privata, in danno della salute e dell’ambiente».

Al contempo, oltre alle cinque proposte per le istituzioni, le associazioni si prendono cinque impegni contro le ecomafie: sostenere le comunità locali nelle vertenze contro l’aggressione ecocriminale ai territori in cui vivono, anche attraverso azioni di carattere giudiziario; sviluppare campagne nazionali, come “Ecogiustizia subito” e “Fame di verità e giustizia”, per sollecitare risposte istituzionali sulla giustizia ambientale e sociale; organizzare attività di monitoraggio civico, come quelle sviluppate in occasione  delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina, per ottenere trasparenza nell’utilizzo di risorse pubbliche in materia ambientale; promuovere iniziative rivolte alle scuole e alle Università per diffondere ancora di più tra le giovani generazioni la conoscenza dell’ecomafia, delle cause e delle risposte necessarie; monitorare il rispetto, a livello europeo e internazionale, di tutti gli impegni adottati per contro l’ecocriminalità transnazionale.

Una roadmap di grande concretezza, nella quale però manca un tassello di peso: il necessario impegno legislativo per arrivare a semplificare le norme ambientali, sgombrando il campo dagli eccessivi margini di interpretabilità, offrendo così la necessaria certezza del diritto a quelle imprese che sono chiamate a operare sul campo ogni giorno (si pensi ad esempio alla gestione rifiuti).

Come documenta lo stesso rapporto legambientino sull’ecomafia, nella sua analisi trentennale, i reati ambientali censiti nel 2009 erano poco meno di 30mila, e anno dopo anno sono sempre oscillati attorno a questa soglia, con picchi attorno ai 35mila/anno. È accaduto nel 2011, nel 2012, nel 2019, nel 2020 e infine nel corso del 2023, quando l’asticella è arrivata a quota 35.487 (+15,6% sul 2022).

In proposito merita una lettura – e meriterebbe anche un aggiornamento – il report Istat pubblicato nel 2018 I reati contro ambiente e paesaggio: i dati delle procuregià con l’introduzione del Testo unico ambientale nel 2006 i procedimenti penali sono aumentati del 1300% ma le indagini durano in media 457 giorni, e inoltre il 40% dei casi poi c’è l’archiviazione (che arriva al 77,8% guardando alla legge 68/2015  sugli ecoreati, dati riferiti al 2016).

L’esperienza empirica mostra dunque che, almeno in alcuni settori colpiti dall’ecomafia – a partire dal ciclo di gestione rifiuti – limitarsi semplicemente a varare leggi su leggi con l’intento di stringere il cappio normativo contro gli ecocriminali non basta.

Anzi, senza un riordino della legislazione in materia che sappia semplificare garantendo la certezza del diritto, oltre a quella della pena per chi sgarra, la bulimia normativa rischia di confondere ancora più le acque con un risultato respingente nei confronti di amministratori e imprenditori onesti, a tutto vantaggio di mafie e criminali veri.

Nel merito il ministro dell’Ambiente Pichetto ha promesso più volte, nel corso degli ultimi anni, la volontà di riformare il Codice dell’ambiente. Una riforma che però ancora non si vede, e neanche la preliminare apertura verso esperti e società civile per gli approfondimenti del caso: il ministro ha nominato la Commissione interministeriale per la revisione del Codice ambientale nel febbraio 2024, ma da allora non se ne è più avuta notizia.

Redazione Greenreport

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