
Ecomafie, in 10 anni accertati 6.979 reati ambientali ma la riforma del Codice ancora non si vede
Da quando è stata approvata la legge 68/2015 che ha introdotto i delitti ambientali nel Codice penale e riformato sistema sanzionatorio degli illeciti amministrativi e penali previsti nel Testo unico ambientale (D.Lgs 152/2006, noto anche come Codice dell’ambiente), in Italia si contano 6.979 i reati accertati: l’arco di tempo osservato – da giugno 2015 a dicembre 2024 – è arrivato a traguardare il decennio, con Legambiente e Libera a stilare un primo bilancio, in vista della conferenza nazionale ControEcomafie, organizzata a Roma per il 16 e 17 maggio presso il Dipartimento di Giurisprudenza di RomaTre.
«In questi dieci anni grazie alla legge sugli ecoreati – spiegano le due associazioni – tante denunce fatte sono diventate processi e sono arrivate le prime sentenze definitive come, ad esempio, quella per la gestione criminale della discarica Resit, in provincia di Caserta. Tutto ciò è stato possibile grazie a quella riforma di civiltà che ha visto finalmente la luce il 19 maggio del 2015 con l’approvazione della legge sugli ecoreati. Dell’importanza di questa normativa parleremo a ControEcomafie a Roma il 16 e 17 maggio e la due giorni dei lavori si concluderà con l’approvazione di un “Manifesto” in cui verranno raccolte le proposte che faremo al governo e al Parlamento e gli impegni che ci assumiamo, per rafforzare quella rivoluzione iniziata dieci anni fa».
Dal 2015 sono 21.169 i controlli effettuati, 12.510 le persone denunciate e 556 quelle arrestate; mentre il valore economico dei sequestri ammonta a 1,155 miliardi di euro. Il 40,5% dei reati accertati si concentra nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa: Campania, Puglia, Sicilia e Calabria. Il delitto più accertato è quello l’inquinamento ambientale, (art. 452 bis), con 5.506 i controlli effettuati, 1.426 reati, 2.768 persone denunciate, 136 ordinanze di custodia cautelare e 626 sequestri, per un valore di oltre 380 milioni di euro. È bene ricordare che questo delitto prima della legge non era contemplato in Italia. Segue con 964 reati il delitto di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti (art. 452 quaterdecies), recepito nel Codice penale solo nel 2018, essendo già previsto dall’art. 260 del Testo unico ambientale e prim’ancora dall’art. 53 bis del cosiddetto decreto Ronchi, in vigore dal 2001. Terzo delitto più accertato è quello per disastro ambientale (art. 452 quater) contestato 228 volte.
Non solo: il secondo “asse” della legge 68 del 2015 è quello relativo alla nuova disciplina sanzionatoria prevista dalla parte Sesta-bis del Testo unico ambientale (D.Lgs 152/2006): su questo fronte, da giugno 2015 a dicembre 2024, a fronte di 11.156 controlli effettuati sulla base dell’art. 318 bis, sono stati contestati 3.361 reati, con 4.245 persone denunciate, 3 ordinanze di custodia cautelare e 553 sequestri, per un valore di 159,7 milioni di euro. Il meccanismo previsto per l’eventuale estinzione dei reati ha visto 794 prescrizioni impartite (art. 318 ter) e 510 adempimenti (318 quater).
«Questa riforma, introdotta con la legge 68 – aggiungono Legambiente e Libera – oltre a “decongestionare” il sistema giudiziario da procedimenti relativi a illeciti penali di minore gravità, ha consentito di incassare nel Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, dal 2018 al 2023, oltre 33 milioni di euro, da utilizzare interamente per il rafforzamento delle attività di controllo svolte dalle stesse Agenzie regionali e provinciali in materia di protezione ambientale».
Ma è evidente che quanto messo in campo finora, con azioni volte essenzialmente a inasprire le pene contro i reati ambientali, non basta a risolvere il problema. Come documenta lo stesso rapporto legambientino sull’ecomafia, nella sua analisi trentennale, i reati ambientali censiti nel 2009 erano poco meno di 30mila, e anno dopo anno sono sempre oscillati attorno a questa soglia, con picchi attorno ai 35mila/anno. È accaduto nel 2011, nel 2012, nel 2019, nel 2020 e infine nel corso del 2023, quando l’asticella è arrivata a quota 35.487 (+15,6% sul 2022).
In proposito merita una lettura – e meriterebbe anche un aggiornamento – il report Istat pubblicato nel 2018 I reati contro ambiente e paesaggio: i dati delle procure: già con l’introduzione del Testo unico ambientale nel 2006 i procedimenti penali sono aumentati del 1300% ma le indagini durano in media 457 giorni, e inoltre il 40% dei casi poi c’è l’archiviazione (che arriva al 77,8% guardando alla legge 68/2015 sugli ecoreati, dati riferiti al 2016).
Che fare dunque? L’esperienza empirica mostra che, almeno in alcuni settori colpiti dall’ecomafia – a partire dal ciclo di gestione rifiuti – limitarsi semplicemente a varare leggi su leggi con l’intento di stringere il cappio normativo contro gli ecocriminali non basta.
Anzi, senza un riordino della legislazione in materia che sappia semplificare garantendo la certezza del diritto, oltre a quella della pena per chi sgarra, la bulimia normativa rischia di confondere ancora più le acque con un risultato respingente nei confronti di amministratori e imprenditori onesti, a tutto vantaggio di mafie e criminali veri.
Nel merito il ministro dell’Ambiente Pichetto ha promesso più volte, nel corso degli ultimi anni, la volontà di riformare il Codice dell’ambiente. Una riforma che però ancora non si vede, e neanche la preliminare apertura verso esperti e società civile per gli approfondimenti del caso: il ministro ha nominato la Commissione interministeriale per la revisione del Codice ambientale nel febbraio 2024, ma da allora non se ne è più avuta notizia.
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