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Batteri e piante per bonificare i terreni inquinati in Sardegna, col progetto Return dell’Enea

Alisi: «I batteri non possono degradare i metalli pesanti, ma possono contribuire ad immobilizzarli e favorire la rigenerazione del terreno»
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

Le attività legate all'estrazione mineraria hanno causato un significativo degrado ambientale nell’area di Ingurtosu, nel sud-ovest della Sardegna – all’interno del Parco geominerario patrocinato dall’Unesco –, che è stata per decenni esposta a un forte inquinamento da metalli pesanti come piombo e zinco.

È i questo contesto che, ormai dal 2011, i ricercatori dell’Enea – in collaborazione con l’Università di Cagliari – hanno avviato studi sui cambiamenti della quantità dei metalli pesanti in relazione alla presenza di piante spontanee e all’attività microbica del suolo, testando anche tecniche di fitorisanamento con microrganismi: 14 anni dopo, ora stanno recuperando l’area inquinata sostenendo la crescita di piante di elicriso, tipiche della zona.

Sono i risultati di Return, un progetto nazionale che si è evoluto accogliendo fondi Pnrr e coinvolgendo, oltre all’Enea, ben 6 partner. Lo scopo è appunto quello di bonificare e rendere di nuovo fertili i terreni inquinati da metalli pesanti, utilizzando batteri e piante autoctone.

«I batteri – spiega la ricercatrice Enea Chiara Alisi – non possono degradare i metalli pesanti, ma possono contribuire ad immobilizzarli e favorire la rigenerazione del terreno. Le piante, infatti, stentano a crescere in un suolo contaminato. Qui entrano in gioco i batteri, che producono sostanze nutritive permettendo alle piante di attecchire: i risultati ottenuti ci incoraggiano a sviluppare un modello sostenibile e replicabile, con benefici in termini di riduzione della concentrazione e della pericolosità dei metalli, aumento della vegetazione spontanea e miglioramento della salute del suolo».

Il cuore del progetto è la bioaugmentation, ovvero l’introduzione nel suolo di 11 ceppi batterici nativi, protagonisti invisibili, isolati direttamente dagli scarti minerari. Si tratta di microrganismi in grado non solo di sopravvivere in ambienti ad alta concentrazione di metalli pesanti ma anche di produrre sostanze che stimolano la crescita delle piante e migliorano la biodiversità microbica e la qualità del suolo, contribuendo alla stabilizzazione del terreno.

Redazione Greenreport

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