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Lo scudo bucato e i cani azzurri di Chernobyl

Bagni chimici rovesciati, mutazioni e radiazioni, tra fake news e verità
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

In Ucraina è in corso dal primo dicembre (e fino al 12) un’ispezione di un team dell’International atomic energy agency (Iaea) per valutare i danni, esaminare i lavori di riparazione e identificare misure pratiche per rafforzare la resilienza delle forniture di energia elettrica esterne alle centrali nucleari, tre delle quali sono ancora in funzione per generare elettricità.
Il direttore generale dell’Iaea Rafael Mariano Grossi ha spiegato che «Queste sottostazioni sono essenziali per la sicurezza nucleare. Sono assolutamente indispensabili per fornire l'elettricità di cui tutte le centrali nucleari hanno bisogno per il raffreddamento dei reattori e per altri sistemi di sicurezza. Sono inoltre necessarie per distribuire l'elettricità prodotta alle famiglie e all'industria».

E’ in questa occasione, grazie a un comunicato Iaea, che in Italia ci si è accorti che un altro team dell'agenzia nucleare dell’Onu aveva completato una valutazione della sicurezza del New Safe Confinement (NSC) nella centrale nucleare di Chernobyl, gravemente danneggiato da un attacco con drone a febbraio che ha anche causato un grave incendio nel rivestimento esterno dell'imponente struttura in acciaio costruita per impedire qualsiasi rilascio radioattivo dal reattore distrutto nel disastro nucleare del 1986.

L’Iaea evidenzia che «La missione ha confermato che l'NSC aveva perso le sue principali funzioni di sicurezza, tra cui la capacità di confinamento, ma ha anche riscontrato che non vi erano danni permanenti alle sue strutture portanti o ai sistemi di monitoraggio». Grossi ha aggiunto che «Sono state eseguite solo limitate riparazioni temporanee sul tetto, ma resta essenziale un restauro tempestivo e completo per prevenire un ulteriore degrado e garantire la sicurezza nucleare a lungo termine» e, sulla base dei risultati della missione, l'Iaea raccomanda «Ulteriori lavori di restauro e protezione della struttura dell'NSC, tra cui misure di controllo dell'umidità e un programma aggiornato di monitoraggio della corrosione, nonché un aggiornamento di un sistema di monitoraggio automatico integrato per la struttura dello scudo costruita sopra il reattore subito dopo l'incidente».

Ma Chernobyl resta il simbolo e il monito di quanto sia pericoloso e costoso produrre energia nucleare. Dopo 40 anni dal disastro nucleare, i lavori di “messa in sicurezza” a Chernobyl non finiscono mai e l’Iaea ha annunciato che «Nel 2026, con il sostegno della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), il sito di Chernobyl sarà sottoposto ad ulteriori riparazioni temporanee per favorire il ripristino della funzione di confinamento del NSC, aprendo la strada al completo ripristino una volta terminato il conflitto». Ed è l’ennesima volta che viene assicurato che ci sarà un completo ripristino che nessuno ha mai visto. Intanto, il valore complessivo delle attrezzature e delle forniture necessarie per la sicurezza nucleare giunte in Ucraina (fondi dell’Unione europea e della Gran Bretagna) dall'inizio della guerra con la Russia ha superato i 21 milioni di euro.

Ma le ispezioni del team Iaea hanno riportato a galla la notizia dei tre “cani blu” scoperti a Chernobyl a novembre dell'equipe medica di Clean Futures Fund (CFF) Dogs of Chornobyl Program, La pubblicazione delle immagini dei cani su TikTok hanno scatenato una raffica di commenti sui social media, molti dei quali ipotizzano che si tratti di una risposta alle radiazioni e di mutazioni o di qualche forma di adattamenti evolutivi all'ambiente locale fortemente contaminato.

Il biologo Timothy Mousseau, dell’università della South Carolina e scientific advisor di CFF Dogs of Chornobyl Program, dice che si tratta di fake news: «Niente potrebbe essere più lontano dalla verità. Infatti, la tinta blu probabilmente proveniva da bagno chimico rovesciato in cui i cani si rotolavano nelle feci, come i cani sono propensi a fare (pensate alla lettiera per gatti!). La colorazione blu era semplicemente un segno del comportamento poco igienico dei cani! Come ogni padrone di un cane sa, la maggior parte dei cani mangia praticamente qualsiasi cosa, feci comprese!»

Ma sui social networks impazzano le notizia che i cani e i lupi che vivono nell’area di Chornobyl avrebbero sviluppato mutazioni speciali che li rendono resistenti alle radiazioni e ai tumori. Mousseau dice che anche questo è falso: «La letteratura scientifica ha dimostrato in maniera definitiva che ci sono due popolazioni geneticamente distinte di cani randagi nella zona di Chernobyl, uno intorno alla centrale nucleare, e un altro nella città di Chernobyl e nei dintorni, a circa 4 miglia a sud della centrale. Gli studi genetici indicano che la maggior parte di questi cani sono discendenti degli animali domestici che le persone furono costrette a lasciarsi alle spalle al momento del disastro nucleare nel 1986 e che da allora, si è registrata pochissima migrazione tra le due popolazioni, permettendo loro di evolversi indipendentemente l'una dall'altra, oltre che indipendentemente dagli altri cani nelle regioni limitrofe. In effetti, queste due popolazioni esistono come isole separate da terreni non occupati. La mancanza di flusso genico in queste due popolazioni pone le basi per un cambiamento evolutivo, ma finora i rapporti scientifici non trovano alcuna prova che queste popolazioni si siano evolute in modo adattativo in risposta ai loro ambienti radioattivi».

Lo scienziato statunitense evidenzia anche che «Contrariamente a quanto riportato dai media, i cani di Chernobyl non mostrano segni di elevati tassi di tumore (cioè cancro), ma non mostrano nemmeno segni di una riduzione del tasso di cancro. La verità è che i tumori sono generalmente una malattia di vecchiaia (sia nei cani che negli esseri umani) e nelle dure condizioni di Chernobyl la maggior parte dei cani non vive abbastanza a lungo da esprimere il cancro, anche se erano predisposti a farlo».

Mousseau smentisce anche che i lupi che vivono nelle regioni della Bielorussia colpite dal disastro nucleare di Chernobyl abbiano sviluppato un sistema immunitario anti-cancro, che sarebbe il segreto dell’apparente aumento della loro popolazione: «In verità, non esiste alcun rapporto pubblicato nella letteratura scientifica a sostegno di questa affermazione. Alcuni scienziati si sono comportati irresponsabilmente promuovendo questa idea in assenza di dati scientifici peer reviewed a sostegno della loro affermazione. Inoltre, date le dimensioni molto ridotte della popolazione di lupi di Chernobyl (cioè qualche decina di individui), sarebbe impossibile uno studio epidemiologico che dimostri un'associazione tra radiazioni, cancro e cambiamenti genetici del sistema immunitario. Questi studi richiedono di solito milioni di osservazioni (e sicuramente al o decine di migliaia) poiché anche quando i tassi di cancro sono alti, sono ancora relativamente rari, rendendo le associazioni statistiche molto impegnative. E, come già detto, i tumori sono solitamente una malattia della vecchiaia, riducendo ulteriormente la probabilità di vederli in una popolazione naturale dove la durata della vita tende ad essere relativamente breve. Più in generale, la crescita della popolazione di lupi a Chernobyl è stata spesso citata come un esempio di re-wilding e utilizzata come prova che le radiazioni potrebbero non essere così pericolose e che la caccia è la ragione principale per cui i lupi fossero assenti da questa regione prima del disastro. Sebbene la prima causa (cioè la caccia) sia probabilmente vera, non ci sono prove che suggeriscano che i lupi non siano colpiti negativamente dai contaminanti radioattivi. Tutto quello che possiamo dire con certezza è che la caccia è probabilmente un fattore più importante che colpisce le popolazioni di lupi rispetto alle radiazioni, il che non è poi così sorprendente!».

Il biologo del CFF Dogs of Chernobyl Program smentisce anche che tutte le piante e gli animali di Chernobyl stoano prosperando nonostante (o grazie) la contaminazione nucleare: «Infatti, la maggior parte degli studi sulle popolazioni di piante, animali e microbi nella Zona di Chernobyl non ha trovato segni di evoluzione adattativa. C'è solo uno studio che mostra cosa potrebbe essere l'adattamento alle radiazioni e riguarda i batteri che vivono sulle ali degli uccelli. Questo non sorprende visto che i batteri possono riprodursi molto rapidamente, con migliaia di generazioni dal disastro, consentendo un'evoluzione adattativa, mentre i cani e la maggior parte delle altre piante e animali hanno spesso una sola possibilità di riprodursi all'anno, il che rallenta drasticamente la risposta evolutiva al cambiamento. Uno studio scientifico suggerisce che i cani mostrano alcuni segni di cambiamenti nell'"espressione genica" nelle aree più radioattive, ma questa è probabilmente una risposta fisiologica diretta piuttosto che riflettere i cambiamenti genetici di per sé.

In generale, la maggior parte degli studi scientifici pubblicati mostrano che molti degli organismi esaminati mostrano significativi impatti negativi delle radiazioni nelle aree della zona dove le radiazioni sono elevate, ma in gran parte non sono colpite in aree relativamente "pulite" (cioè non radioattive). La maggior parte delle persone non si rende conto che entro i 2.600 km2 della Zona di esclusione di Chernobyl (CEZ), forse solo il 30% della superficie terrestre sarebbe da considerare pericolosa (cioè significativamente radioattiva) mentre il resto è relativamente "freddo" (cioè non radioattivo). La CEZ è in realtà una sorta di trapunta o mosaico di livelli di radiazione che riflette gli schemi di direzione del vento e delle precipitazioni al momento dell'incidente. Non è uniformemente radioattiva».

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.