Rifiuti e tracciabilità: quando la burocrazia diventa sanzione
Nel diritto ambientale la tracciabilità dei rifiuti è un principio cardine: ogni passaggio – dalla produzione al trasporto, fino al recupero o allo smaltimento – deve poter essere ricostruito con precisione, per questo la tenuta corretta del registro di carico e scarico rappresenta un obbligo fondamentale per produttori trasportatori e gestori di impianti.
Con il decreto-legge 8 agosto 2025 n. 116 recante “Disposizioni urgenti per il contrasto alle attività illecite in materia di rifiuti e per la bonifica dell’area denominata Terra dei Fuochi” convertito con modificazioni nella legge 3 ottobre 2025 n. 147 il legislatore ha introdotto una svolta punitiva di notevole impatto nel sistema delle sanzioni ambientali modificando in più punti l’articolo 258 del D.Lgs. 152/2006 Testo Unico Ambientale. L’articolo 258 comma 2 punisce chi omette o tiene in modo incompleto il registro con una sanzione amministrativa pecuniaria da 4000 a 20000 euro e se l’irregolarità riguarda rifiuti pericolosi la multa sale da 10000 a 30000 euro con la possibile sospensione fino a un anno dalle cariche sociali rivestite. La vera novità è però contenuta nel comma 2-bis introdotto proprio dal D.L. 116/2025 che prevede “in ogni caso” la sospensione automatica della patente di guida da uno a quattro mesi per i rifiuti non pericolosi e da due a otto mesi per i rifiuti pericolosi, applicazione obbligatoria indipendentemente dall’entità o dalla gravità della violazione, cosicché anche una semplice dimenticanza o un errore formale può comportare la perdita temporanea della patente.
Si ricorda che il “registro” richiamato dall’art. 258 è il registro di carico e scarico dei rifiuti previsto dall’art. 190 del D.Lgs. 152/2006, un documento cartaceo o digitale numerato e vidimato dalla Camera di Commercio nel quale devono essere annotate in ordine cronologico tutte le operazioni di carico e scarico dei rifiuti prodotti trasportati raccolti o trattati. Le registrazioni devono essere effettuate entro dieci giorni lavorativi dal momento in cui il rifiuto è prodotto o avviato al recupero o smaltimento e devono essere conservate per almeno tre anni cinque per i gestori di impianti, garantendo la tracciabilità completa del flusso dei rifiuti e consentendo di dimostrare la corretta gestione del ciclo produttivo. L’omessa o incompleta tenuta del registro non è una mera mancanza formale, ma compromette l’intera catena di tracciabilità impedendo agli organi di controllo di verificare l’effettivo destino dei rifiuti.
È fondamentale ricordare che l’obbligo di tenuta riguarda non solo i trasportatori ma una platea ampia di operatori: produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi, produttori iniziali di rifiuti non pericolosi con più di dieci dipendenti, nuovi produttori, commercianti e intermediari anche senza detenzione fisica dei rifiuti, gestori di impianti di stoccaggio trattamento recupero o smaltimento. La norma, quindi, coinvolge anche soggetti di piccole dimensioni, come artigiani o manutentori che producono occasionalmente rifiuti speciali ma sono tenuti agli stessi adempimenti delle grandi imprese. Un artigiano che produca una minima quantità di rifiuto speciale pericoloso e dimentichi di registrare l’operazione rischia oggi non solo una multa salata ma anche la sospensione della patente per due a otto mesi, senza distinzione tra chi gestisce tonnellate di rifiuti e chi ne produce pochi grammi, con un automatismo sproporzionato e scollegato dal principio di colpevolezza individuale.
Il paradosso emerge ancor più chiaramente se si confronta questa disposizione con quella dell’art. 258 comma 4 come riformulato dal decreto-legge n. 116/2025: in caso di trasporto di rifiuti senza formulario di identificazione è prevista la reclusione da uno a tre anni per i rifiuti pericolosi e la sanzione amministrativa pecuniaria da 1600 a 10000 euro per i rifiuti non pericolosi, pena che si applica anche a chi redige o utilizza certificati di analisi falsi sulla composizione dei rifiuti. Il nuovo comma 4-bis prevede inoltre la confisca obbligatoria del mezzo di trasporto utilizzato per il reato salvo che appartenga a persona estranea ai fatti. Eppure in nessun caso è prevista la sospensione della patente di guida del conducente nemmeno per chi trasporta illegalmente rifiuti pericolosi senza il formulario, determinando una disparità evidente: chi commette un illecito ben più grave rischia la confisca del mezzo ma non perde la patente, mentre chi compie una mera irregolarità amministrativa nel registro può subire la sospensione fino a otto mesi.
Il risultato è un impianto sanzionatorio disomogeneo e difficilmente giustificabile sul piano della coerenza logica, poiché l’automatismo della sospensione della patente, privo di qualsiasi collegamento con la condotta contestata, rischia di violare i principi di proporzionalità, ragionevolezza e personalizzazione della pena. Alcuni commentatori ritengono che l’automatismo della sospensione della patente per il registro sia in realtà un errore normativo o un taglia/incolla disallineato poiché la tenuta del registro compete normalmente agli uffici amministrativi e non al conducente su strada. Non è ancora accertato se tale vizio possa essere efficacemente fatto valere in sede giudiziaria, ma il rilievo solleva dubbi fondati sul principio di collegamento tra illecito e sanzione.
La norma finisce inoltre per colpire in modo particolarmente duro le microimprese e i lavoratori autonomi, per i quali la patente rappresenta spesso uno strumento di lavoro essenziale. La tutela ambientale richiede certamente un sistema di controlli e sanzioni rigoroso, ma l’efficacia della repressione non si misura solo con la severità delle pene: deve esserci equilibrio tra la gravità dell’illecito e la risposta dell’ordinamento. Punire con la sospensione automatica della patente chi sbaglia una registrazione, mentre non si applica alcuna misura analoga a chi trasporta rifiuti pericolosi senza formulario, rappresenta una disarmonia evidente. Un diritto ambientale moderno dovrebbe conciliare rigore e razionalità, evitando che la logica della sanzione simbolica degeneri in un sistema che penalizza più la forma che la sostanza.