
Come trasformare il problema dei rifiuti abbandonati in mare in opportunità, grazie al riciclo: è il progetto Epic

È stato presentato ieri nella splendida cornice del Grand Hotel Palazzo di Livorno il progetto europeo Epic – Un marE PrIvo di plastiCa, nell’ambito della Biennale del mare e dell’acqua Blu Livorno, il neonato Festival promosso dall’Amministrazione comunale.
Cofinanziato dal Programma Interreg Marittimo Francia-Italia per circa 5,6 milioni di euro, Epic è un progetto transfrontaliero coordinato dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (Arpat), che coinvolge 16 partner tra agenzie ambientali regionali, enti di ricerca, associazioni di settore come Confservizi Cispel Toscana, università e organizzazioni no-profit (a partire da Legambiente) di Toscana, Liguria, Sardegna, Corsica e Région Sud. L’obiettivo è ambizioso: sviluppare e condividere buone pratiche per individuazione, raccolta, riutilizzo, riciclo e – dove necessario – corretto smaltimento delle macroplastiche rinvenute in mare, nei fiumi e nei porti.
Un ruolo centrale nel progetto è quello esercitato da Revet, la partecipata pubblica (con Alia Multiutility come socio di maggioranza) con base a Pontedera che rappresenta l’hub del riciclo più importante dell’Italia centro meridionale: serve circa 200 Comuni e oltre l’80% della popolazione toscana, e già oggi è in grado di portare a nuova vita la frazione delle plastiche più difficile da riciclare meccanicamente, ovvero da quegli imballaggi misti e flessibili, spesso compostiti, chiamati plasmix (in altre parole, il 70% circa degli imballaggi plastici di cui si compone la raccolta differenziata toscana). Ne abbiamo parlato con l’amministratrice delegata di Revet, Alessia Scappini.
Intervista
Quale sarà il ruolo di Revet nell'ambito del progetto Epic?
«Revet svolge un ruolo operativo, insieme ad alcuni gestori dei servizi d’igiene urbana attivi lungo la Toscana costiera. Andremo a chiudere il cerchio con l’ultimo anello, quello più sperimentale, del progetto Epic: lo scopo è caratterizzare i rifiuti plastici raccolti negli specchi d’acqua – sia salata sia dolce – come anche dai fondali, in modo da capire come questi materiali, una volta opportunamente trattati, possano diventare una carica da aggiungere ai polimeri provenienti dalla raccolta differenziata che già ricicliamo meccanicamente. Se la sperimentazione avrà successo, potrebbero nascere nuovi materiali innovativi, da impiegare ad esempio nello stampaggio di manufatti e oggetti da impiegare all’interno delle aree portuali o demaniali marittime».
Anni fa Revet ha già partecipato al progetto pilota “Arcipelago pulito”, nato in Regione Toscana con un’ampia rete di supporto – dal ministero dell’Ambiente a Legambiente – per permettere ai pescatori di conferire a terra i rifiuti plastici pescati in mare con le loro reti: ripartiamo adesso dalle lezioni di quell’esperienza?
«Certo, ma non solo. Revet sta operando anche all’interno di un altro progetto finanziato da Interreg, ovvero Plastron, che anche in questo caso vede come oggetto principale il riciclo delle plastiche presenti in mari, per poi trattare questi materiali e realizzare – attraverso l’impiego di stampa additiva in 3D – manufatti plastici che possano essere prodotti localmente, in modo da creare forme di artigianato locale in quei Comuni marittimi, anche piccoli, che risentono in modo particolare dell’inquinamento da marine litter. Il tentativo dunque è quello di sviluppare forme di economia circolare a livello locale, trasformando un problema in opportunità».
Dopo la legge Salvamare come si configurano oggi dal punto di vista normativo le macroplastiche rinvenute in mare, nei fiumi e nei porti, di chi è la responsabilità della gestione?
«La legge Salvamare è stata un importante spartiacque. Prima i pescatori che raccoglievano accidentalmente con le loro reti dei rifiuti e li portavano a terra rischiavano l’accusa di traffico illecito, nella peggiore delle ipotesi, mentre nella migliore erano comunque inquadrati come produttori di quel rifiuto speciale e dunque chiamati a pagare per la sua gestione, in un’ottica di responsabilità estesa del produttore (Epr). Per evitare queste conseguenze, naturalmente, i pescatori ributtavano in mare i rifiuti pescati.
L’attività portata avanti proprio coi pescherecci di Arcipelago pulito ha fornito lo spunto per il chiarimento normativo arrivato con la legge Salvamare: adesso quei rifiuti vengono riconosciuti come abbandonati e di fatto assimilati agli urbani, e i costi della loro gestione sono dunque a carico della collettività».
Da cosa dipende dunque l’abbandono dei rifiuti plastici in mare?
«I rifiuti presenti in mare arrivano soprattutto da attività presenti a terra (si stima che il solo fiume Arno scarichi in mare 18 mln di rifiuti plastici l’anno, l’equivalente di qualcosa come 450mila bottiglie di plastica, ndr). Guardando in particolare agli imballaggi, fortunatamente la grande maggioranza viene già intercettata dai gestori dell’igiene urbana, ma resta una piccola parte che viene incivilmente abbandonata e può facilmente finire nei corsi d’acqua, e da lì in mare. Progetti come Epic hanno lo scopo di accendere un faro su questo problema, oggi a carico della collettività, per provare a trasformarlo in un’opportunità attraverso il riciclo».
