Con Revive Pot il riciclo sboccia nei vivai: da Revet e Avi prodotti 28 milioni di vasi in 7 mesi
Un’estate fa veniva presentata all’assemblea dell’Associazione vivaisti italiani (Avi) l’iniziativa “da vaso a vaso”, un progetto di economia circolare a chilometro zero che avrebbe unito due realtà nazionali d’eccellenza: il più importante hub per il riciclo dell’Italia centro meridionale, la pontederese Revet, e il distretto vivaistico che ha il proprio cuore a Pistoia.
Oggi quell’iniziativa embrionale è sbocciata nel progetto Revive Pot, che in soli sette mesi ha permesso di realizzare in Toscana 28 milioni di vasi per piante 100% riciclati e riciclabili, a partire da 112.690 kg di scarti plastici ritirati da Revet dai vivai aderenti al progetto. Ne abbiamo parlato col neo-direttore della Comunicazione in Avi, Nicolò Begliomini.

Intervista
Com’è nata la sinergia con Revet, e come funziona la collaborazione che si è messa in moto in questi mesi?
«In un contesto sempre più orientato alla sostenibilità, alla filiera corta e all’equilibrio ambientale, l’incontro tra Avi e Revet è stato naturale. Fin da subito è stato evidente il potenziale positivo di questa collaborazione, tanto per le aziende vivaistiche quanto per la comunità. L’accordo prevede che gli scarti plastici prodotti dalle aziende del distretto siano raccolti e trattati da Revet, che li integra con gli imballaggi post-consumo della raccolta differenziata toscana. Da questo processo nascono granuli plastici che vengono riutilizzati per stampare nuovi vasi destinati ai vivai. Tutti 100% riciclati e riciclabili. Un esempio concreto di economia circolare applicata».

I benefici per l’ambiente sono chiari – le plastiche riciclate da Revet comportano emissioni di CO2 ridotte del 75% rispetto a quelle legate alla produzione di plastica vergine – ma ci sono anche vantaggi per i vivai associati all’Avi?
«Anzitutto, garantiamo una gestione efficiente, economica e sicura degli scarti aziendali. In secondo luogo, la filiera del riciclo è completamente tracciabile e chiusa, elemento che certifica la bassa impronta carbonica del prodotto finale. Infine, c’è un aspetto etico e reputazionale fondamentale: i vivaisti scelgono consapevolmente di assumersi una responsabilità ambientale e sociale, contribuendo a costruire un futuro più sostenibile. È un impegno che qualifica il comparto, rafforza la sua immagine e lo rende più riconoscibile all’esterno».
Ci sono margini per ampliare ulteriormente lo sviluppo del progetto Revive Pot?
«Siamo solo all’inizio di un percorso ricco di prospettive. Una delle direzioni che vogliamo esplorare riguarda la formazione e l’educazione, in particolare con il coinvolgimento delle scuole. L’obiettivo è parlare di ambiente e coesione sociale, partendo da un progetto – Revive Pot – che è il frutto di un patto virtuoso tra mondo produttivo e comunità. È la dimostrazione concreta che la collaborazione tra realtà apparentemente distanti può generare valore e futuro. E noi vogliamo essere un esempio».
Quanto è importante la comunicazione per trasmettere l’impegno del settore vivaistico sui temi della sostenibilità?
«La comunicazione è uno strumento fondamentale per valorizzare l’impegno concreto e quotidiano del settore su queste tematiche. Siamo convinti che raccontare con efficacia i valori del vivaismo – a un pubblico sempre più ampio e attento – possa generare consapevolezza e riconoscimento, dentro e fuori dal comparto. È anche per questo che, nel lanciare la campagna Revive Pot – Pop Revolution, abbiamo scelto di affidarci alla visione creativa di un’artista di fama internazionale come Camilla Falsini. Il suo linguaggio visivo, immediato e potente, è riuscito a tradurre l’anima del progetto: un’alleanza virtuosa tra comunità e mondo vivaistico per dare forma a un prodotto che contiene futuro».

Il vivaismo ornamentale in Italia vanta oltre 25mila occupati e un valore della produzione pari a 1,68 mld di euro, con 400 mln di euro fatturati solo nel pistoiese. Eppure, a differenza di prodotti come vino o olio, il suo valore identitario è meno percepito. Perché?
«È un tema che tutti noi sentiamo fortemente. Vogliamo lavorare per cambiare la narrazione del nostro settore, restituendogli il ruolo che merita non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale. La nostra sfida è raccontare il valore reale del vivaismo con trasparenza, visione e strumenti nuovi. E siamo certi che le istituzioni, come già stanno facendo, ci affiancheranno in questo percorso di valorizzazione».
Nel nuovo corso che Avi ha aperto con l’assemblea di luglio, gli oltre duecento associati hanno deciso di mettere al centro la creazione di valore economico e sociale. Con quale ruolo per la sostenibilità ambientale?
«Per Avi, la sostenibilità non è una novità: da tempo le aziende si impegnano su questo fronte, ottenendo certificazioni, migliorando l’efficienza nella gestione dell’acqua, adottando tecniche come la lotta integrata e la pacciamatura a chilometro zero. Ma siamo consapevoli che si può e si deve fare di più. Progetti come Revive Pot e Fitolab – quest’ultimo sostenuto dalla Fondazione Caript – rappresentano nuovi tasselli di una strategia che punta a un futuro produttivo e sostenibile, in cui ricerca e innovazione si intrecciano con la responsabilità ambientale».
In Toscana l’innalzamento delle temperature provocato dalla crisi climatica corre a velocità doppia rispetto alla media globale, inquadrando la gestione dell’acqua come la sfida più importante da affrontare. Come si stanno attrezzando i vivaisti per affrontare la sfida della gestione dell’acqua?
«Il settore sta già facendo la propria parte, investendo in sistemi di irrigazione a goccia, nel recupero delle acque e nella riduzione delle perdite idriche. Queste soluzioni sono ormai ampiamente diffuse e continueranno a essere perfezionate. Il cambiamento climatico è una realtà visibile quotidianamente nelle produzioni, e per questo l’impegno è diventato concreto e diffuso. Ma da soli non basta: serve un’azione coordinata, e su questo la Regione Toscana sta dimostrando grande attenzione, con investimenti mirati».
Il continuo alternarsi di alluvioni e ondate di calore rende imperativo investire in soluzioni basate sulla natura come le “città spugna”, dove aree verdi e terreni permeabili permettono di attutire il colpo degli eventi meteo estremi. Il vivaismo può avere un ruolo in questo scenario?
«Non solo può, ma deve. E Avi ha ben chiaro che occorre superare la visione del verde come semplice elemento ornamentale. Le piante prodotte dalle nostre aziende hanno un valore funzionale decisivo nel contrasto agli effetti del cambiamento climatico. Che si tratti di assorbire piogge intense o mitigare l’isola di calore urbana, il verde è parte integrante delle soluzioni. Dobbiamo rafforzare la rete tra chi produce, chi pianta e chi si prende cura degli spazi verdi: è lì che si gioca il futuro delle nostre città».
