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Intervista ad Andrea Sforzi

La scienza che coinvolge i cittadini funziona? Ne parliamo col presidente dell’Associazione citizen science Italia

«L’aspetto forse più rivoluzionario è quello di riuscire a portare la ricerca scientifica nell’ambito della compartecipazione all’acquisizione di conoscenza a vantaggio di tutti»
 |  Interviste

L’estate, oltre ad essere momento di vacanza, è anche un periodo che ci induce a osservare la natura con occhi curiosi da esploratori “in erba”. La voglia di scoprire è innata nell’uomo, ma se amplificata dal voler mostrarsi attraverso i mezzi di comunicazione social diventa quasi una corsa alla pole position. L’ho visto, l’ho fotografato, quindi sono. Eppure, per contribuire in maniera fattiva all’avanzamento delle conoscenze scientifiche, molti non sanno che esiste una metodologia quasi-empirica, la citizen science. Una “disciplina” nata sulla scia dell’onda digitale che ci ha letteralmente sommerso, e a cavallo del più nero periodo di crisi economica che non ha escluso il mondo della ricerca. Ne parliamo con Andrea Sforzi, direttore del Museo di storia naturale della Maremma e presidente dell’Associazione citizen science Italia.

Intervista

Ci spieghi cos’è la citizen science, ancora poco conosciuta al grande pubblico.

«Negli ultimi anni è cresciuta, soprattutto nel mondo occidentale, la consapevolezza dell’importanza dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento e della perdita di biodiversità, se non altro per l’impatto che essi hanno sul futuro del nostro pianeta. A seguito di tale fenomeno culturale si è diffusa, dapprima in Usa poi in Australia e in Europa, la citizen science, traducibile in “scienza dei cittadini” o in “scienza partecipata”. Il termine citizen science è stato introdotto per la prima volta nel 1995 dal sociologo Alan Irwin in un suo libro, divenuto poi pietra miliare del settore, per descrivere le potenzialità offerte da quella categoria di esperti considerati dalla scienza tradizionale come lay people (“laici” o profani). L’autore si riferisce, in particolare, alle modalità grazie alle quali persone “ordinarie” possono acquisire conoscenza delle problematiche e/o dei fenomeni ambientali».

Quali potenzialità ha la citizen science?

«La scienza dei cittadini prevede che persone di varie età, formazione ed estrazione sociale partecipino come volontari ad attività di ricerca scientifica. Tra i partecipanti ai progetti possono esserci studenti di scuole, semplici appassionati, amanti dell’outdoor. L’aspetto forse più rivoluzionario è quello di riuscire a portare la ricerca scientifica nell’ambito della compartecipazione all’acquisizione di conoscenza a vantaggio di tutti. Il cosiddetto processo di “democratizzazione della scienza”».

Le nuove tecnologie hanno aiutato lo sviluppo di questa forma di ricerca scientifica?

«Sì, hanno fornito un grande impulso, aprendo orizzonti e possibilità fino a poco tempo fa impensabili. Il web, infatti, è ormai divenuto un elemento imprescindibile di aggregazione, formazione ed erogazione di servizi, con un sempre maggior numero di utenti e potenzialità applicative in veloce crescita. Soprattutto l'ampia e rapida diffusione dei cellulari di nuova generazione consente oggi di realizzare con semplicità azioni impensabili fino a pochi anni fa; ad esempio, connettersi ad internet quasi in ogni luogo, registrare le coordinate geografiche di un punto, scattare una foto georeferenziata, gestire applicativi specifici (anche con componenti di IA), collegare sensori sempre più precisi.

Oggi possiamo affermare con certezza che il coinvolgimento di numerose persone in progetti locali e nazionali rappresenta un’importante realtà in continuo sviluppo. Un esempio è fornito dal progetto inglese Opal (open air laboratories), attivo tra il 2007 e il 2016. Si trattava di un network, coordinato dall’Imperial college di Londra, che includeva musei, università, organizzazioni private e agenzie governative. Le attività proposte erano strutturate in “rilevamenti” (surveys) che spaziavano dalla qualità del suolo (soil and earthworm survey), alla qualità dell’aria (air survey) e dell’acqua (water survey), allo stato della biodiversità (biodiversity survey) e del clima (climate survey), a quello delle condizioni di salute degli alberi (treehealth survey), al conteggio di insetti (bugs count). Nei suoi anni di attività il progetto ha coinvolto oltre un milione di persone, la maggior parte delle quali alla prima esperienza di monitoraggio sul campo».

Il conteggio di insetti mi fa venire in mente un recente articolo di un illustre giornalista che ha ironizzato sulla scelta dell’Unione europea di finanziare progetti di citizen science. Cosa possiamo dire a riguardo?

«La validità di un progetto scientifico dipende dalla qualità dei suoi elementi; in genere questi sono rappresentati da un’ipotesi da testare, da una raccolta dati con verifica delle informazioni, da un processo analitico e da un’interpretazione adeguata ad uno standard oggettivo da raggiungere. Ebbene, tali elementi non sono un’esclusiva prerogativa della scienza tradizionale ma possono trovarsi anche nella citizen science; anzi, in quest’ultima essi costituiscono uno strumento di moltiplicazione della acquisizione di dati».

Quindi, cosa manca alla società attuale per una totale accettazione della citizen science?

«Per arrivare ad una completa accettazione della citizen science occorre evitare di riferirsi ad un generico lavoro che coinvolga volontari occasionali, ma è necessario definire con precisione i ruoli. L’applicabilità ed il successo di un progetto di citizen science risiede nella capacità dei ricercatori proponenti di progettare in maniera partecipata le diverse fasi della ricerca, adottando soluzioni nuove che consentano di conservare gli stessi livelli di replicabilità, affidabilità e robustezza del processo scientifico tradizionale.

La volontarietà espressa dai partecipanti alla citizen science induce a ritenere che per quest’ultima non occorrano contributi economici; in realtà, per garantirne la funzionalità e l’efficacia essa ha bisogno, di tenere in piedi un sistema più o meno complesso di relazioni, comunicazione, feed-back ed analisi, e tutto ciò ha un costo. In alcuni contesti, tuttavia, il numero e l’ampiezza dei dati raccolti dai cittadini (basti pensare, ad esempio, a progetti sull’inquinamento sonoro o di qualità dell’aria) è di gran lunga superiore a quanto potrebbe essere realizzato con le risorse umane e i fondi ordinari a disposizione del mondo della ricerca».

In Italia, quali azioni sono state messe in campo?

«I progetti di citizen science, in gran parte dedicati alla biodiversità (anche se non mancano attività rivolte ad un più ampio spettro disciplinare), sono aumentati sensibilmente di numero.  Grazie al progetto H2020 “Do it together science” (Ditos) oltre 50 esperti di università, centri di ricerca, musei scientifici, associazioni ed enti pubblici italiani con vari livelli di esperienza nel settore alcuni anni fa si sono incontrati presso l’Accademia Nazionale delle Scienze per definire le linee guida per una strategia nazionale di citizen science, intese come una serie di azioni e suggerimenti, suddivisi in macrotemi. L’incontro si proponeva inoltre di consolidare la rete nazionale di citizen science in Italia e di promuovere collaborazioni con le istituzioni pubbliche. Il lavoro impostato nel 2018 è proseguito, con altri incontri presso l’Accademia nazionale delle scienze e il Museo di storia naturale della Maremma, registrando un crescente numero di partecipanti, fino alla redazione di un documento formale (policy brief), in inglese e in italiano, condiviso con la comunità internazionale. Nel tempo sono molti i progetti sviluppati in vari contesti, da un numero crescente di soggetti, sia academici, sia del mondo dell’associazionismo.

Il 17 febbraio 2023, presso l’orto botanico di Roma, è stata formalmente costituita l’Associazione citizen science Italia Ets, con lo scopo di promuovere e valorizzare la citizen science in Italia, rappresentando la comunità italiana di Citizen Science a livello nazionale e internazionale e facilitando la comunicazione tra scienziati, decisori politici e cittadini. L’operato dell’associazione si fonda sui principi dell’open science, della sostenibilità e della partecipazione attiva. Lavora per aumentare l’alfabetizzazione scientifica, promuovere la ricerca collaborativa e sostenere iniziative che abbiano un impatto positivo e tangibile sulla società. Dalla sua istituzione sono stati organizzati due incontri nazionali, corsi di formazione, attività di promozione di progetti. L’associazione è oggi composta da tre gruppi di lavoro: educazione, giovani, salute. Per saperne di più vi invito a consultare il sito www.citizenscience.it».

Sabrina Lo Brutto

Sabrina Lo Brutto, Professoressa di Zoologia del Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare (DiSTeM) dell’Università di Palermo. Insegna nei Corsi di Laurea in Scienze Biologiche e Scienze del Turismo. Svolge attività di ricerca indirizzata allo studio della biodiversità marina mediterranea e alla museologia scientifica. É stata Direttrice del Museo di Zoologia “P. Doderlein” dell’Ateneo palermitano, è membro del National Biodiversity Future Center (NBFC), coordina progetti e iniziative di divulgazione scientifica. È stata membro del Consiglio Direttivo dell’Unione Zoologica Italiana; ad oggi ne è membro della Commissione Fauna e Ambiente.