In vigore la legge Ue sul Ripristino della natura. L’Italia ha votato contro ma dovrà attuare le nuove norme
Da ieri è in vigore la legge sul Ripristino della natura, nota a livello comunitario come “Nature restoration law”, ovvero il regolamento dell’Unione europea volto a difendere la biodiversità, raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, realizzare misure di adattamento ai cambiamenti climatici e migliorare la sicurezza alimentare per i cittadini dell’Ue. Si tratta di un elemento cardine del Green deal che, come spiega la Commissione europea in una nota, «avvia un processo per il recupero continuo e duraturo della natura nel territorio e nei mari dell’Ue, sostenendo al tempo stesso uno sviluppo economico e una produzione agricola più sostenibili e lavorando di pari passo con lo sviluppo delle energie rinnovabili».
Il governo italiano, quando lo scorso giugno venne dato il via libera al testo, ha votato contro insieme all’Ungheria, Polonia, Paesi Bassi, Finlandia e Svezia. Ma ora dovrà comunque dare attuazione alle norme inserite e, come ha spiegato il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Pichetto Fratin rispondendo al primo Question time in Parlamento dopo l’approvazione della legge Ue, l’Italia «dovrà predisporre entro i prossimi due anni il primo Piano nazionale di ripristino, che conterrà le azioni da intraprendere sino a giugno 2032».
In realtà la Nature restoration law prevede scadenze serrate e precisi obiettivi da raggiungere già entro i prossimi sei anni. Il primo, di carattere generale, prevede che gli Stati europei adottino misure di ripristino in almeno il 20% delle aree terrestri dell’Ue e nel 20% delle sue aree marine entro il 2030. Prima del 2050, inoltre, tali misure dovrebbero essere in atto per tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino. Il regolamento prevede anche di mantenere gli spazi verdi urbani e la copertura arborea urbana e di aumentarli dopo il 2030. Aspetto tutt’altro che secondario, come ha sottolineato l’ASviS, le nuove norme imporranno anche uno stop immediato al consumo di suolo in molte parti del territorio nazionale.
Un altro obiettivo da raggiungere entro il 2030 riguarda il ripristino di almeno 25 mila kilometri di fiumi in corsi d’acqua a flusso libero. E non a caso, per quanto riguarda il nostro Paese, il Centro italiano per la riqualificazione fluviale (Cirf) lancia un appello a governo e regioni affinché sia sfruttata al meglio questa opportunità. Spiega il direttore dell’associazione tecnico-scientifica Andrea Goltara: «In Italia stiamo assistendo a un preoccupante aumento dell’artificializzazione di fiumi e territorio, con sempre più sbarramenti, opere e cemento, l’esatto contrario di quello che ci servirebbe per rendere il nostro Paese più resiliente al cambiamento climatico. La Nature restoration law è un’occasione storica per una svolta che ci rimetta in linea con quello che già stanno facendo molti Paesi europei. È imperativo che il governo, con il contributo di tutte le amministrazioni regionali e locali, definisca e metta in atto al più presto piani d’azione concreti e ambiziosi investendo seriamente nella riqualificazione ambientale. Il ripristino di più spazio e più natura nei nostri fiumi, in particolare, è cruciale non solo per la biodiversità, ma anche per ridurre gli impatti di alluvioni e siccità e migliorare la qualità della vita nelle nostre comunità».
Le norme inserite nel nuovo regolamento Ue puntano inoltre a consentire di invertire il declino delle popolazioni di impollinatori e aumentarne la diversità, migliorare la biodiversità negli ecosistemi agricoli e quella degli ecosistemi forestali, nonché contribuire all’impegno di piantare almeno tre miliardi di alberi aggiuntivi entro il 2030 a livello comunitario.
La legge è stata approvata dopo mesi di stallo politico e tuttora viene contestata dalle associazioni agricole, nonostante dal testo finale siano state eliminate le norme più rigide inserite nelle prime versioni. Tra queste, c’era la disposizione di destinare il 10% dei terreni agricoli a interventi per la biodiversità come la coltivazione di siepi, alberi, fossi o piccoli stagni. Nel regolamento è diventato volontario anche il ripristino delle zone umide per gli agricoltori e i proprietari terrieri privati e dunque gli Stati membri dovranno trovare il modo di incentivare questa scelta rendendola attraente dal punto di vista finanziario. Si tratta di compromessi che si sono resi necessari per arrivare all’approvazione della legge che, come spiega la Commissione Ue, era quanto mai urgente. Si legge nella nota diramata in occasione dell’entrata in vigore della Nature restoration law: «Il costo economico del degrado della natura è molto alto. Ogni euro speso per il ripristino può fornire un ritorno sull’investimento superiore a 8 euro, a seconda dell’ecosistema. Solo ecosistemi sani e produttivi possono fornire i numerosi servizi da cui tutti dipendiamo, compresa la resilienza ai cambiamenti climatici e ai disastri naturali, come siccità e inondazioni, nonché la sicurezza alimentare a lungo termine».
E se nel settore agricolo c’è ancora chi alza gli scudi contro il regolamento, la Commissione europea sottolinea due fattori. Il primo: «Oggi, oltre l’80% delle valutazioni dello stato di conservazione dei tipi di habitat europei risulta in uno stato scadente o cattivo». Il secondo: «Più della metà del Pil globale dipende dalla natura e dai suoi servizi». Un dato, quest’ultimo che ha reso obbligatorio il via libera al nuovo regolamento che prevede la protezione delle aree naturali e punta a ripristinare quelle già degradate. Sottolinea dunque la Commissione Ue: «La Banca centrale europea ha rilevato che nell’Eurozona circa 3 milioni di aziende (pari al 72% delle aziende dell’Eurozona) dipendono fortemente da almeno un servizio ecosistemico per produrre i propri beni o fornire i propri servizi. Gravi perdite di funzionalità in questi ecosistemi causerebbero problemi critici a queste aziende e all’economia europea».