
Lo sbiancamento dei coralli minaccia la diversità dei pesci della Grande Barriera Corallina

Un nuovo studio “Mass coral bleaching causes biotic homogenization of reef fish assemblages”, pubblicato su Global Change Biology da un team internazionale di ricercatori, rivela che gli eventi di sbiancamento dei coralli non distruggono solo i coralli, ma possono anche ridurre la varietà di pesci che occupano questi ecosistemi di elevato valore.
Il team condotto da Laura Richardson dell’ ARC centre of excellence for coral reef studies della James Cook University ha esaminato 16 barriere coralline al largo dell'isola di Lizard, nella sezione nord della Grande Barriera Corallina Australiana e la quantità e il tipo di specie di pesci e coralli sono stati esaminati prima, durante e dopo l'evento di sbiancamento di massa del 2016, causato da un'ondata di caldo globale.
La Richardson spiega che «Gli impatti diffusi dello stress da caldo sui coralli sono stati oggetto di molte discussioni sia all'interno che all'esterno della comunità di ricerca. Stiamo imparando che alcuni coralli sono più sensibili di altri allo stress da caldo, ma anche le risposte a questi disturbi dei pesci di barriera variano»,
Un altro autore dello studio, Nick Graham della Lancaster University, aggiunge: «Le comunità di pesci sono colpite significativamente dalla perdita di copertura corallina a seguito di eventi di sbiancamento, e alcuni pesci sono più sensibili di altri».
Infatti, dallo studio emerge che «La perdita di coralli ha colpito alcuni tipi di pesci più di altri». Dopo l'evento di sbiancamento, i ricercatori hanno registrato un brusco calo nella diversità delle comunità di pesci mentre il mix o la specie sono cambiati. I pesci che dipendono fortemente dai coralli ramificati, come i pesci farfalla, sono diminuiti di più.
Un altro autore dello studio, Andrew Hoey, anche lui dall’ARC della James Cook University, conclude: «Prima dell'evento di sbiancamento di massa del 2016, avevamo osservato variazioni significative nel numero di specie di pesci,nell’ abbondanza totale del pesce e nella diversità funzionale tra le diverse comunità di pesci. Sei mesi dopo l'evento di sbiancamento, tuttavia, questa variazione è andata quasi completamente persa. Conosciuta anche come “omogeneizzazione biotica”, questa tendenza alla somiglianza individuale e comunitaria è sempre più considerata una delle più urgenti, ma ampiamente non riconosciute, crisi della biodiversità affrontate a livello globale».
Ma dall’altra parte del mondo arrivano buone notizie per i coralli. Secondo il recente “Report card for the Mesoamerican Reef 2018” dell’Healthy Reefs for Healthy People Initiative (Hri) della Smithsonian Institution che monitora la salute delle barriere coralline della Mesoamerica, le iniziative di salvaguardia starebbero aiutando a cambiare la tendenza al degrado delle barriere. Il rapporto 2018 registra un miglioramento della salute dei reef che passa da “povera” nel 2006 a "equo" quest'anno, con aumenti positivi per tre dei quattro indicatori in un decennio: copertura del corallo (18%), i pesci erbivori (2731 g /100m2) e i pesce commerciali (909 g /100 m2). L'unico indicatore senza miglioramento sono state le macroalghe carnose, ora al 23%, in crescita rispetto al 12% del 2006.
Come spiega la biologa Melanie McField, direttrice dell’Hri, «Mantenere il costante monitoraggio e gli sforzi di gestione collaborativa di così tante organizzazioni per così tanti anni è un risultato notevole in sé, ma il miglioramento misurato nella salute dei reef dimostra la nostra capacità di arginare la traiettoria verso il declino. Le barriere coralline affrontano uno stress sempre maggiore che sta superando quello delle nostre azioni di gestione. Abbiamo bisogno di azioni più veloci e più audaci».
Il rapporto si basa su un nuovo studio su 319 siti di barriera corallina lungo 1.000 km delle coste caraibiche di Messico, Belize, Guatemala e Honduras, che sono state monitorate per quanto riguarda la copertura di corallo vivente, la copertura di macroalghe carnose, di biomassa di pesci erbivori (pappagalli e chirurghi) e la biomassa di pesce commercialmente importante (dentici e cernie). Il punteggio complessivo del 2018 Mesoamerican Reef Health Index è stato "equo" (2.8), su una scala che va da "critico" (1) a "molto buono" (5). Dei 319 siti di barriera esaminati, l'1% era in condizioni "molto buone", il 13% "buone", il 32% in "eque", il 37% "povere" e il 17% "critiche". L'Honduras ha il il più alto indice di buona salute dei reef (3.0), seguito da Belize e Messico (2.8 e dal Guatemala (2.0). L'aumento della copertura del corallo include specie importanti per la costruzione delle barriere coralline e la protezione costiera.
Anche nella barriera corallina del Mesoamerica, come in quella australiana, nel 2015/16 è sbiancato il 21% ma, come evidenziano i ricercatori, «Senza notare mortalità, sebbene il proseguimento dello sbiancamento dei coralli nel 2017 sia una preoccupazione». Il rapporto fa notare che «Ora disponiamo di 47 aree marine protette in tutta la regione, che coprono il 57% dei mari territoriali, ma solo il 3% del mare è completamente protetto dalla pesca nelle zone di rifornimento (RZ). Le RZ totalmente protette hanno dimostratori funzionare, con un raddoppiamento del pesce commerciale negli ultimi dieci anni. I grandi pesci riproduttivi si trovano principalmente nelle RZ e questi sono fondamentali per il ecupero».
Per questo l’Hri e i suoi partner stanno gestendo nuovi interventi di gestione per ripristinare le specie erbivore e gli scienziati dicono che «Sono necessari i maggiori sforzi per ridurre l'inquinamento da nutrienti per combattere la proliferazione delle macroalghe».
Dal 2005 le barriere coralline messicane mostrano un lento ma costante aumento della copertura del corallo dal 2005. Il rapporto spiega che «La biomassa da pesca commerciale, la più alta della regione, ha subito fluttuazioni, ma complessivamente è aumentata del 140% nell'ultimo decennio. Sono necessarie un'attuazione sostenuta e più zone di ripristino per il reef e per attività di pesca più sane. Le macroalghe carnose rimangono un problema in intensificazione, con una crescita accelerata negli ultimi due anni». In Messico bisogna «Proteggere i pesci erbivori e migliorare il trattamento delle acque reflue».
In Belize, la biomassa dei pesci pappagallo continua ad aumentare (post-protezione) e quest’anno c’è una prima indicazione di un leggero calo delle macroalghe carnose. il rapporto evidenzia che «La copertura del corallo varia di anno in anno, ma nel complesso, dal 2006 è aumentata. Nell'ultimo decennio, la biomassa da pesca commerciale ha subito fluttuazioni, ma in generale è aumentata». In Belize occorre «Aumentare al 10% le zone di ripopolamento entro il 2018; vietare reti da posta e le trappole per pesci».
In Guatemala, la copertura corallina è più elevata e la presenza di macroalghe è minore, soprattutto grazie all’inclusione di barriere coralline scoperte recentemente e che hanno influenzato il trend generale. All’Hri sono convinti che «Con il tempo e l'applicazione, la normativa del 2015 che protegge il pesce pappagallo dovrebbe contribuire a invertire il declino dei pesci erbivori». ma «La biomassa da pesca commerciale è la più bassa della regione, con una diminuzione del 95% dal 2006» e per questi anche per il Guatemala si suggerisce di «Creare zone di ripopolamento nelle barriere coralline, limitare le reti da imbrocco e la pesca a strascico e ridurre l'inquinamento specialmente nei bacini idrografici».
Negli ultimi dieci anni, In Honduras, la copertura della barriera corallina è relativamente alta è rimasta stabile o in aumento. Secondo il rapporto, «La biomassa ittica commerciale è rimasta costante, sebbene il livello sia scarso e le popolazioni potrebbero aumentare stabilendo più aree di rifornimento. Nonostante abbia la più alta biomassa erbivora, le macroalghe carnose sono ancora le più alte della regione, a indicare che alti livelli di nutrienti stanno alimentando la crescita delle alghe». Per l’Honduras il rapporto chiede di «Ridurre gli agenti contaminanti che provengono da terra, migliorare il trattamento delle acque reflue e creare più zone di ripopolamento».
