
Si possono conciliare miniere e tutela della biodiversità? Forse, ma non ovunque

Lo studio “On track to achieve no net loss of forest at Madagascar’s biggest mine”, pubblicato su Nature Soustainability da un team di ricercatori della Bangor University e dell’Université de Montpellier è una delle prime valutazioni dell’impatto di una compensazione della biodiversità condotte fino ad oggi. Lo studio, incentrato sulla grande miniera di Ambatovy in Madagascar, di proprietà della multinazionale giapponese Sumitomo Corporation, suggerisce che «Le compensazioni sono sulla buona strada per fornire "nessuna perdita netta" dell'habitat forestale unico distrutto dalla miniera».
Nel caso di Ambatovy, la Sumitomo Corporation si è impegnata a compensare la biodiversità persa a causa del disboscamento o del danneggiamento di circa 5.000 acri di foresta pluviale nella parte orientale del Madagascar, rallentando o arrestando la deforestazione su foreste simili in una regione che copre circa 70.000 acri . Un territorio diviso in 4 diverse aree, alcune direttamente sotto il controllo della compagnia mineraria giapponese, altre gestite da associazioni ambientaliste come Conservation International. In queste aree, la multinazionale mineraria a pagato il monitoraggio ecologico, la creazione di associazioni comunitarie per aiutare a gestire le foreste, l'educazione ambientale, la repressione di attività come la bonifica dei terreni per l’agricoltura o l'estrazione di oro e il sostegno ad altre attività economiche come la coltivazione di alberi da frutto.
La principale autrice dello studio, Katie Devenish dell’università di Bangor, sottolinea che «Ambatovy mira a preservare le foreste, rallentando la deforestazione causata dall'agricoltura su piccola scala altrove, per compensare la foresta che ha disboscato nel sito minerario. La nostra analisi suggerisce che hanno già salvato quasi tutta la foresta persa nel sito minerario. Stimiamo che entro la fine del 2021 non ci sia stata nessuna perdita netta di foresta».
Usando i dati satellitari per monitorare la copertura arborea, i ricercatori hanno confrontato quanta foresta è scomparsa nel tempo nei territori protetti con foreste simili che non hanno ottenuto le protezioni aggiuntive. Uno studio pensato come quegli medici che tracciano il destino di gemelli identici e nel quale la copertura forestale è stata utilizzata come surrogato della biodiversità, un fenomeno troppo complesso per essere facilmente misurabile su aree così estese. Per essere certi che stessero analizzando foreste simili, gli scienziati hanno confrontato una serie di variabili. Hanno selezionato gli stessi tipi di foreste dalla stessa regione. Per i singoli segmenti all'interno di ciascuna foresta, hanno confrontato fattori come la pendenza delle colline, l'altitudine, la distanza dalle strade e dai margini delle foreste e la distanza dalla deforestazione, nonché la vicinanza ai villaggi e la densità di popolazione.
Nel complesso, gli scienziati hanno scoperto che la deforestazione è stata ridotta del 58% all'anno nelle foreste protette, rispetto alle foreste gemelle non protette. Questo equivale a circa 4.000 acri di foresta che altrimenti sarebbero stati probabilmente abbattuti tra il 2009 e il 2020, mettendo il progetto sulla buona strada per raggiungere l'obiettivo promesso di eguagliare la foresta distrutta dalla miniera.
Un’altra autrice dello studio, Julia Jones, anche lei della Bangor University aggiunge: «I Paesi a basso reddito come il Madagascar hanno un disperato bisogno dello sviluppo economico che l'attività mineraria commerciale può portare. Dalle nostre scoperte arrivano molti avvertimenti importanti, ma è certamente incoraggiante che i contributi economici di Ambatovy al Madagascar (decine di milioni di dollari all'anno) sembrino essere stati effettuati riducendo al minimo i trade-offs con il prezioso habitat forestale residuo dell'isola».
Valutazioni solide e credibili sulle compensazioni di biodiversità sono molto rare e Sébastien Desbureaux, del Center for Environmental Economics di Montpellier, fa notare che «La nuova ricerca ha utilizzato approcci all'avanguardia per valutare l'impatto della strategia della miniera per ottenere il “No Net Loss’ delle foreste. Ci sono oltre 12.000 compensazioni di biodiversità in tutto il mondo e ne è stato valutato meno dello 0,05%. Le valutazioni sono difficili da fare in quanto implicano il confronto dei risultati osservati con ciò che sarebbe accaduto senza l'intervento. Questo scenario controfattuale è ovviamente difficile da stimare. Abbiamo esplorato più di 100 modi alternativi per eseguire la nostra analisi e i risultati sono chiari».
Le persone che vivono nei villaggi che utilizzavano le foreste protette si sono lamentate con gli scienziati perché mentre il danno economico dovuto alle restrizioni era immediato, i benefici arrivavano lentamente e Simon Willcock, della Rothamsted Research & Bangor University, spiega perché lo studio presenta dei limiti: «Sebbene possiamo dimostrare con sicurezza che la deforestazione associata alla miniera è stata probabilmente compensata, non possiamo cogliere gli impatti sulle specie. E’ anche importante notare che, con il miglioramento della protezione delle foreste, potrebbe esserci stato un costo per la popolazione locale. Dobbiamo anche considerare cosa succede quando l'impresa si ritirerà dall'area (cosa prevista tra il 2040 e il 2050) poiché senza la protezione e il ripristino continui del sito minerario, che è un compito molto difficile, le affermazioni di Ambatovy sul No Net Loss potrebbero essere minacciate». La Jones aggiunge: «Nonostante gli impegni globali, le foreste tropicali continuano a scomparire rapidamente. La compensazione della biodiversità del tipo studiato in questa ricerca non può risolvere questo problema. In effetti, l'approccio ha senso solo se c'è una deforestazione in corso nel territorio più ampio, con sa che avviene purtroppo in questo caso. Tuttavia, data questa distruzione in corso, questo risultato fornisce un forte supporto al fatto che le miniere e altri importanti sviluppi dovrebbero fare la loro parte investendo negli sforzi di conservazione. Questo caso di studio dimostra che può dare i suoi frutti». Willcock conclude: «Lo sviluppo globale delle infrastrutture non è destinato a rallentare a breve. Trovare politiche per conciliare efficacemente tale sviluppo con la necessità di conservare gli habitat e le specie è fondamentale per evitare di esacerbare ulteriormente l'emergenza ecologica e climatica. Va benissimo introdurre politiche volte a evitare l'impatto sulla biodiversità dovuto allo sviluppo, ma dobbiamo guardare in modo critico se stanno ottenendo risultati o meno».
