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Pino nero, custode di biodiversità oltre i confini naturali

Uno studio coordinato dall’Università di Siena evidenzia il valore ecologico delle foreste di pino nero anche fuori dal loro areale originario
 |  Natura e biodiversità

Anche fuori casa, il pino nero (Pinus nigra) sa offrire rifugio alla biodiversità. È quanto emerge da una vasta ricerca internazionale guidata dall’Università di Siena e pubblicata sulla rivista Global Ecology and Biogeography, che ha coinvolto 22 università e centri di ricerca europei nell’ambito delle attività del National biodiversity future center (Nbfc).

Analizzando oltre 1.360 foreste di pino nero disseminate in tutto il continente, i ricercatori hanno scoperto che queste formazioni, anche quando frutto di rimboschimenti o piantagioni e dunque situate al di fuori del loro arenale nativo, possono mantenere livelli di biodiversità vegetale paragonabili a quelli delle foreste native, a patto che si trovino in ambienti adatti.

«I nostri risultati mostrano che, se inserite in ambienti adatti, cioè dove non si danneggiano o sostituiscono altri habitat di valore come ad esempio i prati aridi, le foreste di pino nero al di fuori del loro areale originario ma in uno stesso contesto biogeografico possono funzionare in modo ecologicamente simile a quelle native», spiega Gianmaria Bonari, botanico presso l’Università di Siena e coordinatore dello studio.

A fare la differenza non è tanto l’origine geografica del pino, quanto le condizioni ambientali locali — in particolare la fertilità del suolo e il grado di umidità — che si confermano fattori chiave nella determinazione della composizione vegetale.

La ricerca offre anche una prospettiva storica interessante: molte delle foreste oggi considerate “fuori areale” occupano territori che in passato, durante il Pleistocene, erano popolati naturalmente dal pino nero. Solo i successivi cambiamenti climatici e il secolare intervento umano hanno ridotto l’areale naturale della specie.

«Questo indica – osserva Bonari – che tali formazioni secondarie potrebbero rappresentare una sorta di ‘ritorno’ in habitat storici. Una situazione ben diversa da quella delle piantagioni con specie esotiche, come gli eucalipti, introdotte da altri continenti. È un esempio chiaro di quanto sia fondamentale conoscere la biogeografia delle specie: non tutte le piantagioni, infatti, hanno lo stesso valore ecologico».

Lo studio, inserito nelle attività dello Spoke 3 del Nbfc (dedicato all’analisi degli ecosistemi terrestri), punta i riflettori su un aspetto spesso trascurato nelle politiche di conservazione: anche alcune piantagioni possono giocare un ruolo fondamentale nella tutela della biodiversità.

Come sottolinea il professor Francesco Frati dell’Università di Siena, che guida le attività dello Spoke 3: «La biodiversità resta in gran parte sconosciuta, anche in ambienti apparentemente familiari come le piantagioni. Il lavoro dei ricercatori e delle ricercatrici del Nbfc è cruciale per comprendere appieno i processi ecologici e progettare strategie di gestione e conservazione realmente efficaci che ci aiutino a mantenere la biodiversità passata e presente e a preservarne il valore in termini di servizi ecosistemici».

Le foreste di pino nero, dunque, offrono un esempio concreto di come la conoscenza storica e biogeografica delle specie possa rivelarsi essenziale per ripensare il futuro della conservazione ambientale.

Vincenza Soldano

Vincenza per l’anagrafe, Enza per chiunque la conosca, nasce a Livorno il 18/08/1990. Perito chimico ad indirizzo biologico, nutre da sempre un particolare interesse per le tematiche ambientali, che può coltivare in ambito lavorativo a partire dal 2018, quando entra a fare parte della redazione di Greenreport.it