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In vent’anni l’area delle regioni oceaniche colpita dalla desertificazione è passata dal 2,4 al 4,5%

Lo rivela una ricerca internazionale realizzata da Enea. È stata osservata una significativa diminuzione di nutrienti e scarsa biodiversità, e ciò potrebbe avere impatti rilevanti sia sull’equilibrio degli ecosistemi marini che sul clima mondiale
 |  Natura e biodiversità

Negli ultimi vent’anni, le zone degli oceani già caratterizzate da una carenza di nutrienti e da una ridotta varietà di specie si sono quasi duplicate, passando dal 2,4% al 4,5% della superficie oceanica globale, a causa del fenomeno della desertificazione. Questo processo comporta una significativa diminuzione di nutrienti e potrebbe avere impatti rilevanti sia sull’equilibrio degli ecosistemi marini che sul clima mondiale. Queste sono alcune delle principali evidenze emerse da una ricerca internazionale realizzata dal Laboratorio Enea Modelli e servizi climatici, in collaborazione con l’Istituto di scienze marine Ismar-Cnr e lo State key laboratory of satellite ocean environment dynamics (Soed) in Cina, pubblicata sulla rivista ‘Geophysical Research Letters’. A darne notizia è la stessa Agenzia, spiegando che lo studio si focalizza in particolare sui cambiamenti che coinvolgono il fitoplancton, l’insieme di microrganismi alla base della catena alimentare degli ambienti marini (fonte primaria di nutrimento per zooplancton, pesci e altri organismi) e fondamentale per la riduzione della CO2 atmosferica grazie alla fotosintesi.

Come sottolinea Chiara Volta, ricercatrice Enea del laboratorio che ha lavorato alla ricerca, questo fenomeno risulta molto evidente nell’Oceano Pacifico settentrionale, dove la superficie coinvolta cresce a un ritmo di 70mila km² l’anno. Ma, aggiunge, «la desertificazione interessa in modo crescente diverse regioni oceaniche, con una particolare vulnerabilità nelle aree tropicali e subtropicali, dove la diminuzione dei nutrienti disponibili può avere importanti impatti sulla produttività e la diversità biologica. Questo accade a causa del riscaldamento globale, che fa sì che l’acqua calda, più leggera, resti in superficie, impedendo il mescolamento con l’acqua più fredda e ricca di nutrienti che si trova in profondità. Meno mescolamento significa quindi meno ‘cibo’ che arriva alla superficie per sostenere la crescita del fitoplancton e, di conseguenza, dell’intera catena alimentare».

Dalla ricerca risulta anche che la quantità di clorofilla sta diminuendo: questo parametro è fondamentale per valutare lo stato di salute e la produttività del fitoplancton, dato che una maggiore concentrazione di clorofilla corrisponde a una più elevata presenza di questi microrganismi.  «Tuttavia, secondo lo studio, questo calo potrebbe non indicare una riduzione della popolazione fitoplantonica, ma un adattamento di questi organismi alle nuove condizioni di crescita imposte dal cambiamento climatico, quali ad esempio l’aumento della temperatura e la riduzione della disponibilità di nutrienti», sottolinea la ricercatrice di Enea.

I ricercatori hanno esaminato le serie temporali di dati satellitari di clorofilla e di fitoplancton tra il 1998 e il 2022 nei cinque principali vortici oceanici della Terra (gyres subtropicali) situati nell’Atlantico settentrionale e meridionale, nel Pacifico settentrionale e meridionale e nell’Oceano Indiano. Si tratta di sistemi di correnti caratterizzati da un movimento anticiclonico dell’acqua che si sviluppano tra l’Equatore e le zone subtropicali di alta pressione, e la cui formazione dipende da una complessa interazione tra venti, rotazione terrestre e distribuzione delle terre emerse.

Spiega ancora Volta: «Negli ultimi due decenni, in concomitanza con il riscaldamento degli oceani, molti studi satellitari hanno documentato un’espansione di questi sistemi oceanici e una conseguente riduzione di clorofilla, destando serie preoccupazioni sulle possibili implicazioni per il clima globale e la salute dei nostri oceani. Tuttavia, i nostri risultati mostrano che, nonostante la diminuzione della clorofilla osservata nella zona più povera di nutrienti dei vortici subtropicali, la biomassa fitoplantonica è rimasta sostanzialmente stabile nel tempo. Tenuto conto che, per loro natura, i dati satellitari si limitano a fornire una descrizione di ciò che avviene sulla superficie oceanica, i prossimi passi da compiere saranno quelli di studiare i cambiamenti della comunità fitoplantonica lungo la colonna d’acqua e quantificare il loro impatto sulla produttività oceanica a scala regionale e globale».

Redazione Greenreport

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