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Amazzonia, in meno di un secolo rischiamo di perdere un patrimonio accumulato in 65 milioni di anni

L’allarme lanciato dal Wwf, che sottolinea anche il fatto che dagli uccelli ai tapiri, dalle scimmie ai delfini, la fauna della regione è tutta sotto assedio
 |  Natura e biodiversità

Il Wwf lancia l’allarme: dopo 65 milioni di anni di relativa stabilità, la foresta amazzonica sta subendo crescenti stress negli ultimi decenni, minacciando la sopravvivenza di specie selvatiche ed esseri umani, nonché la fornitura di molteplici servizi ecosistemici, tra cui la regolazione del clima globale. Alcuni studi stimano che entro il 2050 circa un terzo della foresta sarà esposta a disturbi crescenti provocando cambiamenti inaspettati a scala non solo regionale. Più che mai nel XXI secolo è in corso distruzione, disconnessione e degrado, ovvero totale trasformazione e alterazione della diversità, copertura, e resilienza della foresta amazzonica che viene convertita ad altro uso quale quello agricolo, interrompendo così inoltre la connessione ecologica per le specie che si muovono in ricerca di risorse. Dal 2001 ad oggi sono stati persi oltre 40 milioni di ettari di foresta amazzonica. 

In base ai dati evidenziati dall’associazione ambientalista, l’espansione dei terreni destinati all’agricoltura è la principale causa della deforestazione (90%), solo in un quinto dei casi per terreni coltivati e ben nel circa 80% per terreni destinati all’allevamento di bestiame. La produzione di commodities risulta infatti la principale causa della perdita di foresta amazzonica: olio di palma, soia, carne bovina, cacao, caffè, legname e gomma sono le 7 principali. Alcune, quale il legname, spesso vengono prodotti illegalmente, e tutte sono poi esportate in ogni parte del globo. Cina ed Unione europea sono le due principali importatrici di commodities che causano deforestazione in Amazzonia. Altri rischi sono speculazione, incendi boschivi e uno sviluppo delle infrastrutture urbane mal pianificato. 

Un’altra grave minaccia riguarda le concessioni petrolifere e minerarie (soprattutto oro e carbone), con foreste rase al suolo per la costruzione di pozzi estrattivi e della conseguente necessaria connessione stradale. Esse interessano più del 15% dell’Amazzonia, del 30% delle sue aree protette e del 37% dei territori indigeni. Nonostante vi si trovino soltanto il 29% delle aree estrattive del mondo, ben il 62% della deforestazione mineraria colpisce le foreste tropicali. Il Brasile risulta il secondo Paese più colpito, e anche Perù e Suriname risultano tra le top 10. La maggior parte delle estrazioni sarebbe illegale: negli ultimi due anni oltre 4.200 ettari di foresta amazzonicasono stati distrutti per l’estrazione illegale di oro poi acquistato da Paesi quali Canada, Svizzera e Regno Unito. Ultimo ma non meno importante a causa dell’impatto diretto sulla fauna selvatica è il commercio illegale di specie quali caimani, pecari, orchidee, rettili e non solo. Il cambiamento climatico poi accelera la vulnerabilità e il degrado derivante da altre pressioni. 

Le minacce riguardano anche gli habitat di acqua dolce: il sovrasfruttamento delle risorse ittiche dei fiumi dell’amazzonia, oltre che dighe che ne interrompono la connettività e alterano il trasporto di acqua, sedimenti e sostanze nutritive che alimentano i mangrovieti e le zone umide all’estuario sull’Oceano Atlantico. Infine, il mercurio derivante dalle attività minerarie contamina le acque. 

Si stima che il 17% della superficie originariamente occupata dalla foresta amazzonica sia stato convertito, e che un altro 17% sia degradato. Questa distruzione avrebbe effetti diretti anche sulla salute umana: ad esempio 120.000 persone ogni anno vengono ricoverate durante la stagione degli incendi per problemi cardio-respiratori. Inoltre, la deforestazione aumenta la trasmissione di malattia infettive e facilita la diffusione di nuovi virus e malattie infettive, quali le zoonosi, e future pandemie. Inoltre, la deforestazione si accompagna spesso a gravi violazioni dei diritti umani, minacciando i territori dei popoli indigeni, i loro mezzi di sussistenza e persino la vita delle comunità locali: è fondamentale arrestare subito la deforestazione anche per prevenire gravi abusi dei diritti umani dovuti all'invasione delle terre e allo sgombero forzato delle comunità indigene e tradizionali.

Tutta la fauna della regione è sotto assedio. Quello presente in Amazzonia, sottolinea il Wwf, è un patrimonio di biodiversità inestimabile, il 10% del totale presente sul pianeta, ma è sempre più in pericolo. Il tapiro di pianura (Tapirus terrestris), un importante dispersore di semi, è classificato come “Vulnerabile” nelle liste rosse IUCN a causa della perdita di habitat e della caccia illegale. Diverse specie di primati, come la scimmia ragno e il tamarino edipo, sono minacciate dalla deforestazione e dal commercio illegale di animali da compagnia. L'ara giacinto (Anodorhynchus hyacinthinus), con il suo piumaggio blu intenso, è ancora a rischio a causa del prelievo illegale per il mercato degli uccelli esotici. Un recente studio su 16 specie endemiche di uccelli lancia l’allarme: i taxa endemici potrebbero vedersi ridotto fino al 73% l'areale di distribuzione, alcuni dei quali addirittura oltre il 90%, evidenziando quanto estese aree protette siano essenziali per garantire la sopravvivenza della preziosa diversità della foresta amazzonica. 

Anche gli ecosistemi acquatici e le specie che qui vivono sono a rischio. La pesca e il consumo insostenibili stanno esercitando una pressione eccessiva su diverse specie amazzoniche. Tra queste, il pirarucu (Arapaima gigas), che è in pericolo ed è incluso nell'appendice II della CITES, e il tambaqui (Colossoma macropomum) sono particolarmente impattati da queste attività. Anche il delfino di fiume amazzonico (Inia geoffrensis) è minacciato dalla costruzione di dighe, dall'inquinamento da mercurio legato all'estrazione aurifera e dalle catture accidentali nelle reti da pesca. 

La pesca eccessiva colpisce sia le specie di grandi dimensioni, che continuano a essere le più ricercate, sia le specie di sussistenza, che rappresentano oltre il 90% del pescato. Altre specie acquatiche sono minacciate dalle attività umane: le tartarughe vengono catturate illegalmente per il consumo umano e la carne dei delfini di fiume e dei caimani viene utilizzata come esca per attirare pesci spazzini, come la piracatinga o mota. 

Sottolinea il Panda che la minaccia alla sua biodiversità è solo uno dei pericoli che colpiscono l’Amazzonia, un ecosistema fondamentale per la vita sul nostro Pianeta: regola le precipitazioni dell’intero continente sudamericano e contribuisce a contrastare il cambiamento climatico globale. Oggi tra i pericoli che più mettono a rischio la sopravvivenza di questo bioma ci sono gli incendi. Seppur rappresenti solo l’8% dell’estensione totale, l’Amazzonia andina (ovvero peruviana e boliviana) è considerata tra le più affascinanti e ricche in termini ecologici e culturali. Il WWF Bolivia già da anni lavora sul territorio nazionale per cercare di salvare questa parte preziosa della foresta amazzonica, ma ha deciso di raddoppiare i propri sforzi per la tutela di questo straordinario bioma. Per questo ha dato avvio al Fondo Emergenza Incendi Amazzonia Bolivia che si prefigge la missione di rendere le comunità locali maggiormente preparate circa il tema degli incendi boschivi affinché possano prevenire una nuova emergenza nonché affrontarla nel caso questa dovesse manifestarsi, e ripristinare i danni di ciò che è andato perduto. Per il futuro della foresta amazzonica, e quindi anche il nostro, è infatti fondamentale identificare corrette politiche e strategie di salvaguardia, collaborando con gli attori che ci vivono quali le popolazioni indigene.

Redazione Greenreport

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