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Stretto di Messina: in attesa del fantomatico Ponte, c’è da fare i conti con episodi di bracconaggio dannatamente reali

Circa 70 mila rapaci in migrazione hanno attraversato questa primavera il tratto di mare tra la Sicilia e la Calabria, accompagnati purtroppo da una recrudescenza del fenomeno della caccia illegale. Conclusa l’operazione Adorno dei Carabinieri forestali nelle province di Reggio Calabria e Messina, cui hanno collaborato volontari di Legambiente, Lipu, Man e Wwf
 |  Natura e biodiversità

Abbiamo ricordato più volte che in determinati periodi dell’anno oltre 8mila rapaci al giorno attraversano in volo lo Stretto di Messina. E che questa rotta migratoria è minacciata dal fantomatico progetto del Ponte tanto caro a Salvini. Che piazzare 70 mila metri quadri d’acciaio nel mezzo di questo itinerario caro invece ai volatili non è esattamente una bella idea. Che lo Stretto, come ha recentemente sottolineato il Wwf, è considerato uno dei 28 luoghi più importanti al mondo per le migrazioni dell’avifauna, il più importante in Europa. Ma in attesa che si inizi a vedere qualcosa di concreto circa questa – brutta – favola del Ponte, di cui finora è chiaro solo il costo che non fa che lievitare, c’è da fare i conti con una realtà altrettanto brutta.

Circa 70mila rapaci in migrazione hanno attraversato questa primavera lo Stretto di Messina accompagnati, purtroppo, da una recrudescenza del fenomeno del bracconaggio, con molti colpi di fucile indirizzati nei confronti dei falchi. I volontari delle associazioni Legambiente, Lipu, Man e Wwf Italia sono stati presenti, su entrambi i versanti dello Stretto, al fine di presidiare il territorio e avvisare i Carabinieri forestali, impegnati nell’operazione Adorno, nei casi di bracconaggio. Purtroppo, quasi tutti i giorni sono stati uditi colpi di fucile, per lo più alle prime ore del mattino e, soprattutto, nel tardo pomeriggio, indirizzati in particolare verso i falchi pecchiaioli in migrazione. Diversi gli esemplari di questa specie trovati feriti sul versante calabrese, tutti con fratture direttamente o indirettamente conseguenza di atti di bracconaggio.

Oltre al Falco pecchiaiolo sono molte altre le specie impegnate nella migrazione, tra cui spiccano il Falco di palude, il Nibbio bruno, il Capovaccaio, l’Albanella minore, il Falco pescatore, il Falco cuculo, la Cicogna bianca e la Cicogna nera. Tutte specie particolarmente protette che rischiano di finire nel mirino di bracconieri senza scrupoli.

Come noto, lo Stretto di Messina è uno dei sette black spot del bracconaggio individuati dal Piano d’Azione nazionale per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici: migliaia di migratori vi transitano ogni anno in primavera, in particolare tra aprile e maggio, quando gli esemplari risalgono dall’Africa diretti in Europa per la nidificazione e, viceversa, tra agosto e ottobre, quando tornano in Africa per svernare.

Legambiente, Lipu, Man e Wwf Italia sottolineano che è urgente che il Governo e il Parlamento adottino misure adeguate ed efficaci alla prevenzione e contrasto del bracconaggio, a partire dall’adeguamento del sistema sanzionatorio con l’istituzione, nei casi più gravi, di veri e propri delitti, con pene commisurate alla gravità del fenomeno, e fornendo maggiori dotazioni strumentali e personale ai Carabinieri forestali attivamente impegnato sul campo.

Dopo anni in cui il fenomeno sembrava in graduale calo durante la primavera, quest’anno si è assistito a un preoccupante ritorno del bracconaggio. Un’inversione di tendenza – denunciano le associazioni – favorita da un clima di crescente tolleranza verso chi, ignorando deliberatamente la legge e rifugiandosi dietro tradizioni ormai obsolete, continua a vedere negli uccelli migratori solo un bersaglio da colpire.

«Di fronte a chi infrange la legge e danneggia il nostro patrimonio naturale – affermano Legambiente, Lipu, Man e Wwf Italia - ci si aspetterebbe una risposta ferma e decisa da parte del Governo. Invece, si va nella direzione opposta: si propongono norme sempre più permissive, che aprono alla possibilità di cacciare durante la migrazione, persino al buio, e di catturare decine di specie di uccelli per usarli come esche vive per uccidere altri individui delle stesse specie. Così facendo, si rischia di vanificare i positivi risultati, lenti, faticosi e frutto di oltre sessant’anni di impegno, ottenuti nella tutela dell’avifauna. Un impegno collettivo - concludono le associazioni - costruito con sacrificio e dedizione, che potrebbe andare perduto in un tempo drammaticamente breve. È necessario invertire la rotta e adottare normative che garantiscano maggiori tutele».

Redazione Greenreport

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