Consumo di suolo, in Toscana nell’ultimo anno cementificati 350 ettari di cui il 30% in aree a rischio frana
Nel corso del 2023 in Toscana sono stati consumati 350 ettari di suolo, un valore in aumento rispetto alla media degli ultimi 20 anni. Oltre il 30% di questi ettari sono in aree a pericolosità frana e il 5% addirittura con classe elevata o molto elevata. È chiaro che serve un’inversione di tendenza sia sull’attività edificatoria che sulla prevenzione del dissesto idrogeologico, su cui serve un piano nazionale accompagnato dallo stanziamento di fondi adeguati.
La situazione delle frane nella provincia di Firenze è preoccupante nonostante la nostra regione sia attenta al problema fin dal tempo dei Medici, che per primi posero un vincolo di inedificabilità in Costa San Giorgio a Firenze. Secondo l’Ispra, nel 2021 il 37% il territorio fiorentino era a pericolosità frana, di cui circa il 15% con classe elevata o molto elevata. In termini di popolazione era interessato il 33% della popolazione dell’area fiorentina, di cui il 3,5% in aree a pericolosità elevata o molto elevata: si parla di circa 330.000 persone interessate, di cui 35.000 in zone con pericolosità severa.
Le cause di questa situazione dipendono dalla naturale conformazione del nostro territorio, ma il problema è anche di tipo urbanistico e programmatico perché esiste una contraddizione: le normative per proteggere le aree a rischio frane ed evitare danni a persone e infrastrutture esistono, però quando poi si presenta l'opportunità di edificare spesso prevalgono interessi di tipo economico. C’è insomma una questione naturale ma anche una gestionale e sociale, perché l'interesse economico spesso prevale sulla sicurezza e sulla tutela ambientale.
Il tema poi si unisce a quello dei cambiamenti climatici e del rischio idraulico perché molte frane sono legate a problemi di deflusso o erosione da parte delle acque e anche alle recenti polemiche sulla vegetazione nei fiumi: nelle alluvioni i problemi non sono provocati dalla vegetazione in alveo, quella che nasce naturalmente nei fiumi, ma piuttosto dalla vegetazione proveniente dai versanti franati, dai cambiamenti climatici e ancor più dall'abbandono delle aree collinari e montane.
A fronte di tutto ciò gli enti pubblici e in particolare i Comuni si trovano ad affrontare il fenomeno con scarse risorse a disposizione e così sono costretti a tappare i buchi, intervenendo solo dopo che le opere e le infrastrutture hanno subito dei danni. Insomma non ci sono fondi sufficienti per la prevenzione. Per questo serve un piano nazionale di messa in sicurezza del territorio, che tuteli i comuni e le zone a rischio.
di Stefano Corsi* e Gianpiero Porquier**
*coordinatore commissione Ambiente ed Energia dell’Ordine degli Ingegneri di Firenze
**coordinatore della Commissione Protezione civile dell’Ordine degli Ingegneri di Firenze