
Come costruire "città delle relazioni", a misura di anziano e per la felicità di tutti

Gli impatti dei cambiamenti climatici stanno già fortemente incidendo sulla vita e sui mezzi di sussistenza urbani, con effetti disastrosi per la salute e la vita quotidiana. Nelle città e nei territori si gioca la sfida posta dalla crisi climatica. Gli effetti devastanti di alluvioni e siccità con il loro portato di vittime e danni stanno mettendo a dura prova la sicurezza delle persone.
L’evidenza dei dati scientifici a nostra disposizione sul fronte climatico ed ambientale deve però necessariamente incrociare un altro dato generale ed ormai ineludibile, quello demografico. L’Italia è seconda solo al Giappone per invecchiamento della popolazione. Oggi gli anziani over 65 rappresentano il 20,8% della popolazione residente, con una crescita esponenziale dei “grandi vecchi”, gli ultraottantenni, una porzione della popolazione che ormai raggiunge il 6% della popolazione residente e il 31% della popolazione anziana. Nel 2051 i numeri diventeranno ancora più importanti. Ci sarà un anziano ogni tre residenti e i “grandi vecchi” raggiungeranno quota 7,8% della popolazione. È un fatto macroscopico eppure esiste un enorme processo di rimozione di massa, che impedisce di incrociare le politiche sul clima (e non solo) con esso.
Nelle nostre città la qualità della vita tende a peggiorare per tutte e tutti ma esiste una categoria particolarmente esposta e che forse può anche rappresentare una lente di ingrandimento: gli anziani, appunto. Potremmo dimostrare le difficoltà che vivono le persone anziane in città partendo dalla mancanza sempre più drammatica di servizi di prossimità, come un semplice negozio di alimentari, o in maniera ancora più cruda raccontare l’assenza di presidi sanitari di quartiere che possano assisterli. Ma la nostra vera sfida è dimostrare che una città che nega i diritti alle persone anziane è una città più inospitale per tutti e tutte. Una città che non si cura degli anziani è una città che destina i propri abitanti all’infelicità. La città che si prende cura della popolazione più anziana invece è una città che organizza gli spazi pubblici, gli usi dei luoghi e la mobilità collettiva nel segno della prossimità e delle relazioni.
Per tutte e tutti, anche considerando che spesso mano nella mano, a fianco degli anziani, camminano i bambini e le bambine che possono contare solo sul welfare dei nonni che se ne prendono cura, certo per affetto, ma anche per sopperire a quell’assenza di spazi e servizi di cui l’infanzia di questo Paese avrebbe urgente bisogno. Insomma, per dirla “da ambientalista”, gli anziani sono dei bioindicatori di qualità della vita e soprattutto sperimentano in maniera diretta e drammatica alcuni degli aspetti più duri delle crisi della modernità.
La sfida della (vera) rigenerazione urbana è in fondo questa: riprogettare e riqualificare gli spazi introiettando lo sguardo dei più fragili e con quell’empatia che non pensa a un utente unico ma che si mette in ascolto e accoglie la complessità dei bisogni per far fronte alle diverse esigenze. Ad esempio, prevedendo tempi e spazi sociali condivisi, ridisegnando le piazze e le loro dotazioni. Una progettazione rigenerativa degli spazi urbani basata sulla partecipazione e la co-progettazione in un’ottica intersezionale e nella convinzione che possa essere un metodo che riconosce i bisogni di tutte le persone.
La città come un’infrastruttura per la cura diventa più sostenibile per la salute e per l’ambiente. Per tutti e tutte. Le città sono state concepite, costruite e standardizzate con lo scopo di facilitare la vita produttiva degli uomini in età lavorativa. È essenziale cambiare questo paradigma, abbandonare il modello di città monofunzionale e reimmaginarne gli spazi pubblici e abitabili con lo sguardo degli anziani in cui tutte le persone, qualunque età abbiano, possano vivere meglio.
È il caso della rinaturalizzazione dei nostri centri urbani. Nate per distaccarsi dalla campagna e dal mondo agricolo, le città devono invece ristabilire un contatto con la natura e con la biodiversità, in funzione di adattamento al mutamento climatico ma anche per la produzione di cibo a km zero.
Dai dati della sorveglianza Passi d’Argento (PdA) coordinata dall’Istituto superiore di sanità (Iss) raccolti nel biennio 2021-2022, risulta che il 15% degli anziani (ovvero più di 2 milioni della popolazione con 65 anni o più) vive in condizioni di rischio di isolamento sociale e dichiara che in una “settimana normale” non incontra né telefona a nessuno e non partecipa ad attività con altre persone presso punti di incontro o aggregazione. Un dato preoccupante che, in alcune realtà regionali, arriva a coinvolgere quasi 1 anziano su 3, con un forte gradiente geografico a sfavore delle Regioni del Sud Italia (20% vs 10% nel Nord e 14% al Centro).
È necessario rendere le nostre città e comunità più sostenibili e resilienti: dalle alluvioni alle isole di calore urbano, dalla siccità alla presenza di nuove specie animali aliene, sono molti i fenomeni ai quali siamo direttamente e quotidianamente esposti. I temi della rigenerazione sociale e la costruzione di quella che viene chiamata città delle relazioni diventano una strategia per tenere insieme i bisogni individuali con un obiettivo più generale di risposta alla crisi climatica: la realizzazione di un’area verde di quartiere non è più solo uno strumento per favorire la socialità ma anche una soluzione “basata sulla natura”, in linea con le direttive europee, e di regolamenti “visionari” come quello sulla Nature Restoration Law, ed incardinata nelle strategie di adattamento e mitigazione dei mutamenti climatici.
