Il consumo di suolo in Toscana sta rallentando, ma ancora non basta
Il consumo di suolo insieme alla crisi climatica rappresenta il principale fattore dei danni da eventi meteo estremi – aumentati del +485% nell’ultimo decennio – che gravano sul nostro Paese, con un conto da 135 miliardi di euro dal 1980 e 38mila morti dal 1993. Eppure continua a crescere, ogni anno che passa.
A testimoniarlo è il nuovo rapporto Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici, pubblicato oggi dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa). Oggi le infrastrutture, gli edifici e le altre coperture artificiali occupano più di 21.500 kmq, ovvero il 7,17% del territorio italiano a fronte di una media europea del 4,4%. Nell’ultimo anno sono stati coperti da nuove superfici artificiali 83,7 kmq, a fronte di appena 5,2 kmq di territori ripristinati – aree in cui il suolo da una condizione artificializzata torna ad una naturalizzata, spesso dovuta alla rimozione delle aree di cantiere –, per un consumo netto di suolo pari a 78,5 kmq: si tratta del valore più alto dell’ultimo decennio, qualcosa come circa 2,7 mq al secondo o 230mila mq al giorno.
Se questo è il quadro nazionale, in Toscana non va molto meglio, anche se qualche progresso almeno c’è. «Gli ultimi dati disponibili segnalano un rallentamento del consumo di suolo in Toscana: un andamento moderatamente migliore rispetto agli anni passati, che però deve trasformarsi in una svolta stabile e strutturale nel modo di concepire il governo del territorio», spiega Claudia Nati, presidente dell’Ordine degli ingegneri della Provincia di Firenze
Come argomenta Stefano Corsi, coordinatore della commissione Ambiente ed energia dell’Ordine, l’incremento di consumo di suolo durante lo scorso anno è stato pari a 264 ha, più basso dell'anno passato e anche più basso di altre regioni – ad esempio, giusto per avere un riferimento, il Lazio ha un consumo più che doppio con una superficie inferiore – ma pur sempre «in linea con una normale variabilità degli ultimi anni».
Che fare? «Sono necessarie politiche di lungo periodo – argomenta Nati – per raggiungere alcuni obiettivi: rafforzare la pianificazione integrata, con un coordinamento reale tra urbanistica, infrastrutture e gestione delle risorse ambientali; potenziare gli incentivi per la rigenerazione e il recupero degli spazi dismessi; per promuovere interventi di riuso del patrimonio edilizio esistente, anche attraverso semplificazioni normative e fiscali; e infine favorire una progettazione sostenibile, capace di coniugare qualità, innovazione e tutela del territorio».