
In Italia cresce l’occupazione, ma è grazie al lavoro povero

Se l’occupazione cresce, è una buona notizia. Se l’occupazione cresce il triplo di quanto fa il Pil, la notizia va analizzata con attenzione. Perché significa che qualcosa non va, per i lavoratori. E che probabilmente siamo in presenza di quello che viene definito “lavoro polvero”. Ebbene, in Italia, tra il quarto trimestre del 2022 e lo stesso periodo del 2024, il Pil è aumentato di solo l’1,1%, mentre il numero di occupati è cresciuto del 3%. Questa differenza, come evidenzia uno studio realizzato dall’Osservatorio sui Conti pubblici italiani (Cpi), deriva da due fattori principali. Il primo è un calo della produttività, osservato in diversi settori, probabilmente dovuto all’assunzione di lavoratori meno qualificati o marginali, favorita dalla riduzione delle retribuzioni reali provocata dall’elevata inflazione del biennio 2021-22. Il secondo fattore, in parte collegato al primo, riguarda la concentrazione della maggior parte dei nuovi occupati in settori caratterizzati da bassa produttività, come il commercio, il settore pubblico e le costruzioni, che rappresentano tre quarti delle nuove assunzioni.
Come osservano gli analisti del Cpi, una prima spiegazione della minore crescita del Pil a fronte di un aumento degli occupati può darsi se le ore lavorate crescono meno degli occupati. Nel 2024 è effettivamente stato registrato questo fenomeno (+0,5% contro +1,0%), ma nel 2023 era avvenuto l’opposto (+2,9% contro +1,9%), anche per la riduzione del numero di ore di cassa integrazione autorizzate. Sui due anni, le ore lavorate sono però cresciute più del numero degli occupati.
Entra dunque in campo una seconda spiegazione: l’aumento degli occupati si è concentrato in settori a bassa produttività, misurata come valore aggiunto per occupato. Si legge nell’analisi fornita dall’Osservatorio Cpi: per ogni 100 nuovi occupati (nei settori dove l’occupazione è aumenta) nel 2023-24, 42 sono impiegati nel commercio, 19 nel settore pubblico (PA, difesa, sanità, istruzione) e 14 nelle costruzioni, tutti settori a bassa produttività, mentre appena 10 lavorano nella manifattura e 2 nell’energia. Poiché i tre settori assorbivano a fine 2024 il 52% degli occupati, la crescita dell’occupazione è stata fortemente squilibrata.
Tra le cause principali del modesto incremento del Pil rispetto alla crescita dell’occupazione vi è dunque sicuramente la concentrazione dell’aumento degli addetti in settori caratterizzati da un valore aggiunto più basso. Non può però essere questa l’unica motivazione del fenomeno osservato, perché si registra un calo generalizzato della produttività nella maggior parte dei comparti, in particolare in quelli manifatturieri e in quelli che rappresentano una quota significativa del Pil, come il commercio (inclusi trasporti e ristorazione), il settore pubblico e il settore immobiliare. Questo declino della produttività è probabilmente legato, soprattutto nel settore del commercio, all’assunzione di lavoratori marginali, resa possibile dalla diminuzione delle retribuzioni reali causata dall’inflazione elevata del 2021-22. Si legge infatti nell’analisi che le retribuzioni reali dei lavoratori dipendenti sono diminuite molto più della produttività del lavoro nel 2021-22, quando l’inflazione è cominciata a salire: per esempio, il settore del commercio, trasporti e ristorazione – che rappresenta un quarto degli occupati e un quinto del valore aggiunto – ha registrato un +5% di occupati ma un -4,2% di produttività, ed è notoriamente esposto al lavoro povero e precario. Questo suggerisce che le imprese abbiano assunto lavoratori pagando salari bassi anche per mansioni limitate o intermittenti, da cui un calo della produttività.
