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Denuncia Greenpeace: un intreccio di potere tra aziende zootecniche, partiti e associazioni frena la transizione agricola

Pubblicata in collaborazione con Fondazione Openpolis un’analisi dal titolo “Soldi e politica, la mappa del potere delle grandi aziende zootecniche italiane”. Dal documento emerge che 38 persone con ruoli nei consigli di amministrazione delle prime 50 aziende del settore in Italia per ricavi ricoprono o hanno ricoperto cariche pubbliche
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Pochi giorni dopo l’approvazione in commissione Affari costituzionali alla Camera del dibattuto emendamento alla legge sul lobbying - che se passasse definitivamente in aula e al Senato esenterebbe associazioni datoriali e altri potenti gruppi d’interesse dagli obblighi di trasparenza - Greenpeace Italia, in collaborazione con Fondazione Openpolis, pubblica un’analisi dal titolo “Soldi e politica, la mappa del potere delle grandi aziende zootecniche italiane”. Il documento indaga i rapporti delle maggiori aziende zootecniche italiane con istituzioni, associazioni di categoria e partiti politici, svelando un intreccio di potere che, denunciano Greenpeace e Openpolis, rischia di rallentare ulteriormente la transizione verso un modello agricolo sostenibile. Dall’analisi emerge che ben 38 persone con ruoli nei consigli di amministrazione delle prime 50 aziende del settore zootecnico in Italia per ricavi ricoprono o hanno ricoperto cariche pubbliche, con legami di vario genere tra dirigenti aziendali e partiti politici o con organismi di categoria come Coldiretti e Confindustria.

In particolare, si legge nel documento, i consigli di amministrazione di Tre Valli e La Pellegrina (ambedue controllate dal Gruppo Veronesi, primo gruppo zootecnico in Italia per ricavi annuali) hanno dei contatti indiretti con i partiti Lega e Fratelli d’Italia e con Confindustria Veneto. Dal report spicca anche il caso di Primo Ceppellini, sindaco del Collegio sindacale di La Pellegrina e del Gruppo Veronesi, che è anche partner di Deloitte, la società di consulenza che si occupa del bilancio di sostenibilità del gruppo stesso. Su Inalca si rilevano, invece, collegamenti attraverso Luigi Pio Scordamaglia con Consorzi Agrari d’Italia, Bonifiche Ferraresi e Assocarni. Per Granarolo, infine, emergono i legami con il Partito democratico e con Coldiretti.

«La nostra indagine evidenzia quanto siano profondi e strutturati i legami tra le grandi aziende zootecniche, la politica e le associazioni di categoria del nostro Paese», spiega Simona Savini di Greenpeace Italia. «Quando regole poco chiare permettono ai grandi gruppi dell’agroindustria di esercitare pressioni senza un adeguato controllo pubblico, diventa ancora più difficile avviare la necessaria riconversione del sistema agroalimentare. Per cambiare davvero il modello produttivo servono decisioni trasparenti e inclusive, non processi in cui a prevalere sono gli interessi economici di chi trae profitto dall’attuale sistema».

Queste interconnessioni, sottolinea l’organizzazione ambientalista, non sono ininfluenti, viste le pressioni consistenti da parte del settore zootecnico per indebolire le norme ambientali e di tutela climatica: dalla richiesta di rinviare l’applicazione del regolamento europeo sulla deforestazione, alla riduzione delle misure ambientali contenute nella Pac (Politica agricola comune), fino all’attuale deregulation che interessa moltissime misure di protezione della salute e dell’ambiente a livello comunitario, come l’uso dei pesticidi e i livelli consentiti di nitrati nelle acque. Non ultimo, viene sottolineato, il passo indietro del Parlamento italiano che con l’emendamento alla legge sul lobbying alleggerisce alcuni obblighi di registrazione e controllo, rischiando di rendere ancora meno chiari i rapporti tra portatori di interesse privati e decisori pubblici.

Per questo nella proposta di legge “Oltre gli allevamenti intensivi”, avanzata da Greenpeace Italia insieme ad altre associazioni, si prevede un tavolo di partenariato per la redazione di un Piano nazionale di riconversione del settore zootecnico, al quale partecipino, in trasparenza, tutti i soggetti interessati, compresi le associazioni della società civile e gli enti di ricerca che troppo spesso sono esclusi dai processi decisionali.

Redazione Greenreport

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