
Economie di Resistenza: voci dalla Palestina

“Il villaggio di Battir subisce ogni giorno continui attacchi israeliani: i terreni vengono sequestrati, l'accesso alle risorse, acqua, terra ed energia non è possibile per una larga parte della popolazione. Durante la notte arrivano i soldati israeliani, entrano e arrestano gli uomini giovani, per non dargli la possibilità di protestare in nessun modo. E questo avviene in una maniera sistematica, quasi ogni giorno. Questa situazione porta le donne ad essere in condizioni psicologiche molto difficili, perché spesso si trovano sole a mandare avanti tutta l’economia familiare. È una situazione davvero drammatica”. A parlare è Samah Awda Abu Nima, presidente della Cooperativa di Battir, un villaggio situato in una zona archeologica tra Betlemme e Gerusalemme e particolarmente sotto attacco.
La cooperativa, che in questo momento dà lavoro a 18 donne, è fondata sui principi dell’economia sociale e solidale e produce e commercializza sia prodotti agricoli come la melanzana di Battir, nota in tutta Palestina, che artigianato tradizionale, come ricami e altri oggetti per i turisti. Battir è famosa per i terrazzamenti romani ed è zona protetta dall’Unesco. Samah, insieme a Duaa Barakat, professoressa all’Università Al-Quds e Yahya Bshara Lubna, agronomo del Bisan Center di Ramallah ha fatto parte della delegazione palestinese che, nell’ambito del progetto “IBTKAR for Social Change” finanziato dalla Cooperazione Italiana, è stata in Italia dal 9 al 16 aprile per un inteso programma scambi di buone pratiche con reti, distretti dell’Economia Sociale e cooperative agricole, incontri istituzionali ed eventi pubblici.
IBTKAR, progetto di cui COSPE è partner in Palestina (sia in Cisgiordania che a Gaza) mira a rafforzare le esperienze di economia sociale e di resistenza, e far nascere un coordinamento nazionale di ESS capace di proporre risposte non solo alle drammaticità in corso in Palestina ma anche alle sfide socio-economiche frutto di decenni di infrazione della legalità internazionale da parte di Israele. “Nel contesto palestinese, l'ESS non è solo un approccio economico -dice la professoressa Doua Barakat- ma un vero e proprio atto di resistenza e resilienza. Un’economia che giocherà un ruolo fondamentale anche nella futura ricostruzione del nostro paese e che mette al centro il rispetto delle persone, del pianeta, la sostenibilità e soprattutto le donne. Fondamentali nella società e nell’economia palestinesi”.
La ESS è infatti una visione dell'economia radicata nella cooperazione, nell'aiuto reciproco e nella sostenibilità, che offre un'alternativa alle dinamiche di sfruttamento ed esclusione delle strutture capitalistiche tradizionali. Un’economia “comunitaria” che di fatto in Palestina si pratica da sempre, anche per necessità: “La società palestinese non è nuova a queste pratiche – continua Samah – perché da sempre l'indole delle persone di qui è quella di aiutare il prossimo senza chiederlo, appena si trova una persona che ha bisogno noi ci troviamo a sostenerlo tutti quanti insieme. Con il progetto, che ci ha portato dentro una rete più ampia di associazioni, abbiano avuto modo di formarci e di strutturaci meglio dal punto di vista amministrativo e organizzativo”.
Sono proprio le storie della cooperativa di Battir, quelle delle cooperative di riciclo guidate da donne a Hebron, dei laboratori di upcycling tessile a Betlemme o dei progetti di acquaponica a Gaza, al centro della mappatura realizzata dal Bisan Center for Research and Development di Ramallah per il progetto IBTKAR nel 2024, “Social Solidarity Economy in Palestine”. Una mappatura che ci racconta anche un’enorme quantità di realtà e attività, già presenti in Palestina (di dimensioni e impatto diverse) che non solo generano reddito, ma alimentano anche lo spirito di comunità, preservano il patrimonio culturale e affrontano le questioni ambientali. Ma sono anche realtà che necessitano di un forte supporto a livello organizzativo e finanziario anche per le sfide quotidiane che queste imprese devono affrontare, tra cui i vincoli dell'occupazione militare israeliana, l'instabilità economica e sociale e la mancanza di quadri politici chiari a sostegno della loro crescita.
La delegazione ha fatto tappa a Bozano, Venezia e Verona, incontrando realtà cooperative italiane, rappresentanti istituzionali e anche il pubblico, in un evento molto partecipato di martedì 15 aprile a Bologna in cui si è parlato del ruolo dell’economia sociale e solidale in un contesto di conflitto e di repressione generato nei decenni dal colonialismo insediativo di Israele.
Questa visita è stata un’occasione di scambio fortemente voluta dai rappresentanti delle associazioni palestinesi nonostante il drammatico contesto in cui si trova ad operare il progetto IBTKAR, nato per rispondere con soluzioni innovative a un’economia già in crisi nel periodo post Covid-19 e oggi compromessa anche dalla guerra in atto sulla Striscia di Gaza e dai continui attacchi militari sulla Cisgiordania e a Gerusalemme Est, che hanno colpito direttamente le piccole imprese e le comunità coinvolte nel progetto.
Ma è stata anche l’occasione per vedere un po’ di speranza nel futuro: “in una situazione così drammatica – conclude la professoressa Barakat - uno sviluppo dell’ESS in Palestina sarà fondamentale anche nella ricostruzione dopo la devastazione fisica, politica e sociale in corso a Gaza. Le cooperative generate in questo ambito sono spazi in cui convergono l'emancipazione economica, la giustizia sociale e l'identità collettiva, e sono anche una potente testimonianza di ciò che le comunità possono ottenere quando si organizzano non solo per sopravvivere, ma per costruire un futuro più giusto e umano”.
Il progetto Ibtkar compie un passo verso questa direzione, perché il lavoro, l’economia ed il benessere delle comunità siano la base del futuro nell’area mediorientale, nel rispetto del diritto internazionale e dei valori di umanità e di pace giusta.
