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L’intervento del Pontefice all’Assemblea generale delle Nazioni Unite

Contro la “cultura dello scarto”. Francesco: «L’esclusione economica e sociale è un gravissimo attentato ai diritti umani e all’ambiente»

«La difesa dell’ambiente e la lotta contro l’esclusione esigono il riconoscimento di una legge morale inscritta nella stessa natura umana»
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In occasione della morte del Papa, la Segreteria di Stato vaticana ha pubblicato il volume 88 anni dell’uomo. 88 pagine di Francesco (che riportiamo integralmente in fondo pagina, ndr) in cui si ripercorrono le tappe fondamentali del pontificato appena conclusosi. È di vibrante attualità l’intervento che Papa Francesco tenne, ormai dieci anni fa, di fronte all’Assemblea generale dell’Onu – il 25 settembre 2015 – rimarcando i punti principali della sua enciclica ambientalista Laudato si’: pubblichiamo di seguito il testo completo, in un momento storico che vede quasi un quarto della popolazione italiana (il 23,1% ovvero 13,5 milioni di persone, secondo dati Istat) a rischio povertà o esclusione sociale.

Signor Presidente, Signore e Signori, buongiorno!

Ancora una volta, seguendo una tradizione della quale mi sento onorato, il Segretario Generale del­le Nazioni Unite ha invitato il Papa a rivolgersi a questa onorevole assemblea delle nazioni. A mio nome e a nome di tutta la comunità catto­lica, Signor Ban Ki-moon, desidero esprimerLe la più sincera e cordiale riconoscenza; La rin­grazio anche per le Sue gentili parole. Saluto inoltre i Capi di Stato e di Governo qui presen­ti, gli Ambasciatori, i diplomatici e i funzionari politici e tecnici che li accompagnano, il per­sonale delle Nazioni Unite impegnato in que­sta 70.ma Sessione dell’Assemblea Generale, il personale di tutti i programmi e agenzie della famiglia dell’ONU e tutti coloro che in un modo o nell’altro partecipano a questa riunione. Tra­mite voi saluto anche i cittadini di tutte le na­zioni rappresentate a questo incontro. Grazie per gli sforzi di tutti e di ciascuno per il bene dell’umanità.

Questa è la quinta volta che un Papa visita le Na­zioni Unite. Lo hanno fatto i miei predecessori Paolo VI nel 1965, Giovanni Paolo II nel 1979 e nel 1995 e il mio immediato predecessore, oggi Papa emerito Benedetto XVI, nel 2008. Tutti costoro non hanno risparmiato espressioni di riconoscimento per l’Organizzazione, conside­randola la risposta giuridica e politica adeguata al momento storico, caratterizzato dal supera­mento delle distanze e delle frontiere ad opera della tecnologia e, apparentemente, di qualsi­asi limite naturale all’affermazione del potere. Una risposta imprescindibile dal momento che il potere tecnologico, nelle mani di ideologie nazionalistiche o falsamente universalistiche, è capace di produrre tremende atrocità. Non pos­so che associarmi all’apprezzamento dei miei predecessori, riaffermando l’importanza che la Chiesa Cattolica riconosce a questa istituzione e le speranze che ripone nelle sue attività.  

La storia della comunità organizzata degli Stati, rappresentata dalle Nazioni Unite, che festeggia in questi giorni il suo 70° anniversario, è una storia di importanti successi comuni, in un periodo di inusitata accelerazione degli avvenimenti. Senza pretendere di essere esaustivo, si può menzionare la codificazione e lo sviluppo del diritto internazionale, la costruzione della normativa internazionale dei diritti umani, il perfezionamento del diritto umanitario, la soluzione di molti conflitti e operazioni di pace e di riconciliazione, e tante altre acquisizioni in tutti i settori della proiezione internazionale delle attività umane. Tutte queste realizzazioni sono luci che contrastano l’oscurità del disordine causato dalle ambizioni incontrollate e dagli egoismi collettivi. È certo che sono ancora molti i gravi problemi non risolti, ma è anche evidente che se fosse mancata tutta questa attività internazionale, l’umanità avrebbe potuto non sopravvivere all’uso incontrollato delle sue stesse potenzialità. Ciascuno di questi progressi politici, giuridici e tecnici rappresenta un percorso di concretizzazione dell’ideale della fraternità umana e un mezzo per la sua maggiore realizzazione. Rendo perciò omaggio a tutti gli uomini e le donne che hanno servito con lealtà e sacrificio l’intera umanità in questi 70 anni. In particolare, desidero ricordare oggi coloro che hanno dato la loro vita per la pace e la riconciliazione dei popoli, a partire da Dag Hammarskjöld fino ai moltissimi funzionari di ogni grado, caduti nelle missioni umanitarie di pace e di riconci­liazione.  

L’esperienza di questi 70 anni, al di là di tutto quanto è stato conseguito, dimostra che la ri­forma e l’adattamento ai tempi sono sempre necessari, progredendo verso l’obiettivo fina­le di concedere a tutti i Paesi, senza eccezio­ne, una partecipazione e un’incidenza reale ed equa nelle decisioni. Questa necessità di una maggiore equità, vale in special modo per gli organi con effettiva capacità esecutiva, quali il Consiglio di Sicurezza, gli Organismi finanziari e i gruppi o meccanismi specificamente creati per affrontare le crisi economiche. Questo aiu­terà a limitare qualsiasi sorta di abuso o usura specialmente nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. Gli organismi finanziari internaziona­li devono vigilare in ordine allo sviluppo soste­nibile dei Paesi e per evitare l’asfissiante sotto­missione di tali Paesi a sistemi creditizi che, ben lungi dal promuovere il progresso, sottometto­no le popolazioni a meccanismi di maggiore povertà, esclusione e dipendenza.

Il compito delle Nazioni Unite, a partire dai po­stulati del Preambolo e dei primi articoli della sua Carta costituzionale, può essere visto come lo sviluppo e la promozione della sovranità del diritto, sapendo che la giustizia è requisito in­dispensabile per realizzare l’ideale della frater­nità universale. In questo contesto, è oppor­tuno ricordare che la limitazione del potere è un’idea implicita nel concetto di diritto. Dare a ciascuno il suo, secondo la definizione classi­ca di giustizia, significa che nessun individuo o gruppo umano si può considerare onnipoten­te, autorizzato a calpestare la dignità e i diritti delle altre persone singole o dei gruppi socia­li. La distribuzione di fatto del potere (politico, economico, militare, tecnologico, ecc.) tra una pluralità di soggetti e la creazione di un sistema giuridico di regolamentazione delle rivendica­zioni e degli interessi, realizza la limitazione del potere.

Oggi il panorama mondiale ci presen­ta, tuttavia, molti falsi diritti, e – nello stesso tempo – ampi settori senza protezione, vitti­me piuttosto di un cattivo esercizio del potere: l’ambiente naturale e il vasto mondo di donne e uomini esclusi. Due settori intimamente uniti tra loro, che le relazioni politiche ed economi­che preponderanti hanno trasformato in parti fragili della realtà. Per questo è necessario af­fermare con forza i loro diritti, consolidando la protezione dell’ambiente e ponendo termine all’esclusione.  

Anzitutto occorre affermare che esiste un vero “diritto dell’ambiente” per una duplice ragio­ne. In primo luogo perché come esseri umani facciamo parte dell’ambiente. Viviamo in co­munione con esso, perché l’ambiente stesso comporta limiti etici che l’azione umana deve riconoscere e rispettare. L’uomo, anche quan­do è dotato di «capacità senza precedenti» che «mostrano una singolarità che trascende l’am­bito fisico e biologico» (Enc. Laudato sì, 81), è al tempo stesso una porzione di tale ambiente. Possiede un corpo formato da elementi fisici, chimici e biologici, e può sopravvivere e svilup­parsi solamente se l’ambiente ecologico gli è fa­vorevole. Qualsiasi danno all’ambiente, pertan­to, è un danno all’umanità. In secondo luogo, perché ciascuna creatura, specialmente gli es­seri viventi, ha un valore in sé stessa, di esisten­za, di vita, di bellezza e di interdipendenza con le altre creature. Noi cristiani, insieme alle altre religioni monoteiste, crediamo che l’universo proviene da una decisione d’amore del Creato­re, che permette all’uomo di servirsi rispettosa­mente della creazione per il bene dei suoi simili e per la gloria del Creatore, senza però abusarne e tanto meno essendo autorizzato a distruggerla.

Per tutte le credenze religiose l’ambiente è un bene fondamentale (cfr ibid., 81). L’abuso e la distruzione dell’ambiente, allo stesso tempo, sono associati ad un inarrestabile processo di esclusione. In effetti, una brama egoistica e illimitata di potere e di benessere materiale, conduce tanto ad abusare dei mezzi materiali disponibili quanto ad escludere i deboli e i meno abili, sia per il fatto di avere abilità diverse (portatori di handicap), sia perché sono privi delle conoscenze e degli strumenti tecnici adeguati o possiedono un’insufficiente capacità di decisione politica.

L’esclusione economica e sociale è una negazione totale della fraternità umana e un gravissimo attentato ai diritti umani e all’ambiente. I più poveri sono quelli che soffrono maggiormente questi attentati per un triplice, grave motivo: sono scartati dalla società, sono nel medesimo tempo obbligati a vivere di scarti e devono ingiustamente soffrire le conseguenze dell’abuso dell’ambiente. Questi fenomeni costituiscono oggi la tanto diffusa e incoscientemente consolidata “cultura dello scarto”. La drammaticità di tutta questa situazione di esclusione e di inequità, con le sue chiare conseguenze, mi porta, insieme a tutto il popolo cristiano e a tanti altri, a prendere coscienza anche della mia grave responsabilità al riguardo, per cui alzo la mia voce, insieme a quella di tutti coloro che aspirano a soluzioni urgenti ed efficaci. L’adozione della “Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” durante il Vertice mondiale che inizierà oggi stesso, è un importante segno di speranza. Confido anche che la Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico raggiunga accordi fondamentali ed effettivi. Non sono sufficienti, tuttavia, gli impegni assunti solennemente, benché costituiscano certamente un passo necessario verso la soluzione dei problemi.

La definizione classica di giustizia alla quale ho fatto riferimento anteriormente contiene come elemento essenziale una volontà costante e perpetua: Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. Il mondo chiede con forza a tutti i governanti una volontà effettiva, pratica, costante, fatta di passi concreti e di misure immediate, per preservare e migliorare l’ambiente naturale e vincere quanto prima il fenomeno dell’esclusione sociale ed economica, con le sue tristi conseguenze di tratta degli esseri umani, commercio di organi e tessuti umani, sfruttamento sessuale di bambini e bambine, lavoro schiavizzato, compresa la prostituzione, traffico di droghe e di armi, terrorismo e crimine internazionale organizzato. È tale l’ordine di grandezza di queste situazioni e il numero di vite innocenti coinvolte, che dobbiamo evitare qualsiasi tentazione di cadere in un nominalismo declamatorio con effetto tranquillizzante sulle coscienze.

Dobbiamo aver cura che le nostre istituzioni siano realmente efficaci nella lotta contro tutti questi flagelli. La molteplicità e complessità dei problemi richiede di avvalersi di strumenti tecnici di misurazione. Questo, però, comporta un duplice pericolo: limitarsi all’esercizio burocratico di redigere lunghe enumerazioni di buoni propositi – mete, obiettivi e indicazioni statistiche –, o credere che un’unica soluzione teorica e aprioristica darà risposta a tutte le sfide. Non bisogna perdere di vista, in nessun momento, che l’azione politica ed economica, è efficace solo quando è concepita come un’attività prudenziale, guidata da un concetto perenne di giustizia e che tiene sempre presente che, prima e aldilà di piani e programmi, ci sono donne e uomini concreti, uguali ai governanti, che vivo­no, lottano e soffrono, e che molte volte si ve­dono obbligati a vivere miseramente, privati di qualsiasi diritto.  Affinché questi uomini e donne concreti pos­sano sottrarsi alla povertà estrema, bisogna consentire loro di essere degni attori del loro stesso destino.

Lo sviluppo umano integrale e il pieno esercizio della dignità umana non pos­sono essere imposti. Devono essere costruiti e realizzati da ciascuno, da ciascuna famiglia, in comunione con gli altri esseri umani e in una giusta relazione con tutti gli ambienti nei quali si sviluppa la socialità umana – amici, comuni­tà, villaggi e comuni, scuole, imprese e sinda­cati, province, nazioni, ecc. Questo suppone ed esige il diritto all’istruzione – anche per le bambine (escluse in alcuni luoghi) – che si assi­cura in primo luogo rispettando e rafforzando il diritto primario della famiglia a educare e il diritto delle Chiese e delle aggregazioni sociali a sostenere e collaborare con le famiglie nell’e­ducazione delle loro figlie e dei loro figli. L’edu­cazione, così concepita, è la base per la realiz­zazione dell’Agenda 2030 e per il risanamento dell’ambiente.  Al tempo stesso, i governanti devono fare tutto il possibile affinché tutti possano disporre della base minima materiale e spirituale per rendere effettiva la loro dignità e per formare e mante­nere una famiglia, che è la cellula primaria di qualsiasi sviluppo sociale. Questo minimo asso­luto, a livello materiale ha tre nomi: casa, lavoro e terra; e un nome a livello spirituale: libertà di spirito, che comprende la libertà religiosa, il di­ritto all’educazione e tutti gli altri diritti civili.  

Per tutte queste ragioni, la misura e l’indicatore più semplice e adeguato dell’adempimento del­la nuova Agenda per lo sviluppo sarà l’accesso effettivo, pratico e immeditato, per tutti, ai beni materiali e spirituali indispensabili: abitazione propria, lavoro dignitoso e debitamente remu­nerato, alimentazione adeguata e acqua pota­bile; libertà religiosa e, più in generale, libertà di spirito ed educazione. Nello stesso tempo, questi pilastri dello sviluppo umano integrale hanno un fondamento comune, che è il diritto alla vita, e, in senso ancora più ampio, quello che potremmo chiamare il diritto all’esistenza della stessa natura umana.  La crisi ecologica, insieme alla distruzione di buona parte della biodiversità, può mettere in pericolo l’esistenza stessa della specie umana.

Le nefaste conseguenze di un irresponsabile malgoverno dell’economia mondiale, guidato unicamente dall’ambizione di guadagno e di potere, devono costituire un appello a una se­vera riflessione sull’uomo: «L’uomo non si crea da solo. È spirito e volontà, però anche natura» (Benedetto XVI, Discorso al Parlamento della Repubblica Federale di Germania, 22 settembre 2011; citato in Enc. Laudato sì, 6). La creazione si vede pregiudicata «dove noi stessi siamo l’ulti­ma istanza [...]. E lo spreco della creazione ini­zia dove non riconosciamo più alcuna istanza sopra di noi, ma vediamo soltanto noi stessi» (Id., Incontro con il Clero della Diocesi di Bol­zano-Bressanone, 6 agosto 2008, citato ibid.). Perciò, la difesa dell’ambiente e la lotta contro l’esclusione esigono il riconoscimento di una legge morale inscritta nella stessa natura uma­na, che comprende la distinzione naturale tra uomo e donna (cfr Enc. Laudato sì, 155) e il ri­spetto assoluto della vita in tutte le sue fasi e dimensioni (cfr ibid., 123; 136).

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Redazione Greenreport

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