
La guerra tra Israele e Iran nel segno dei combustibili fossili

Le conseguenze ancora incerte ma devastanti della guerra in corso tra Israele e Iran si riverberano sull’intera area del Golfo dell'Oman che, ricordiamolo, è un tratto del Mare Arabico, compreso fra la costa dell'Oman e quella più meridionale dell'Iran, attraverso il quale transita oltre il 30% del petrolio mondiale: la possibilità di un disastro ambientale, tra le tante altre possibili negative conseguenze, diventa ogni ora che passa sempre più serio.
Cerchiamo di capire cosa potrebbe accadere in quell’area. Partiamo dalla localizzazione: il Golfo dell'Oman è separato dal Golfo Persico dallo Stretto di Hormuz e si estende per 560 chilometri, arrivando a una larghezza massima complessiva di 320 chilometri; in sintesi, si tratta di un braccio di mare simile per proporzione al nostro Mare Adriatico.
Lo Stretto di Hormuz potrebbe essere teatro, come già più volte accaduto in passato, di una pericolosa “guerra ombra” che vedrebbe contrapposti Stati Uniti e Israele contro l’Iran. In sostanza, è proprio da qui che si passa dal Golfo di Oman al Golfo Persico, su cui si affacciano vari Stati, in primis l'Iran – che ne costituisce l'intera costa settentrionale, estesa per 2.400 km –seguito da Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Bahrain, Qatar e Oman.
Da un punto di vista squisitamente geopolitico, il Golfo Persico costituisce l'unica area marittima che separa l'Iran dalle monarchie presenti lungo il Golfo e, di conseguenza, dalle basi militari statunitensi distribuite sul loro territorio. Occorre, inoltre, anche richiamare il fatto che, soprattutto, l’area in parola costituisce una delle più grandi riserve di combustibili fossili (petrolio e gas) al mondo e, di conseguenza, uno dei principali snodi per il commercio globale di idrocarburi.
È stato stimato che almeno 20 milioni di barili greggio transitano giornalmente dallo Stretto di Hormuz – tramite petroliere dirette in Europa, nel sud-est asiatico e in Cina – insieme al 20% del commercio globale di Gnl (gas naturale liquefatto), a partire da tutto quello prodotto in Qatar.
Dopo gli anni di tensione causati dagli attacchi degli Houthi alle navi in transito nel Mar Rosso, connessi all’esplicito rischio di disastro ambientale collegato alla fuoriuscita di ingenti quantitativi di greggio, i fattori di rischio, decuplicati dalla guerra in corso, si spostano su un teatro tattico che, in ipotesi, amplificherebbe le nocive conseguenze ambientali in tutta l’area del Golfo Persico.
Una guerra assurda che non vede contrapposte solo le nazioni belligeranti ma che, invece, coinvolge direttamente l’intero ecosistema dell’area, quindi del pianeta e di tutti gli esseri viventi che lo abitano: non c’è abbastanza sofferenza sulla Terra? L’imperativo è fermare al più presto la guerra.
