
A rischio povertà un lavoratore su dieci: il fenomeno riguarda anche chi ha un impiego a tempo pieno

Nel 2024, la percentuale di persone a rischio povertà in Italia si attesta al 18,9%, invariata rispetto all’anno precedente. Tuttavia, la situazione peggiora per gli occupati, compresi quelli a tempo pieno: secondo gli ultimi dati diffusi dall’Eurostat, gli occupati con reddito inferiore al 60% della mediana nazionale (al netto dei trasferimenti sociali) sono passati dal 9,9% al 10,2% complessivamente, mentre tra i full time l’aumento è dall’8,7% al 9%: un valore più che doppio rispetto alla Germania (3,7%).
Nel complesso le persone in una situazione di indigenza in Italia sono 11 milioni 92mila, 29mila in meno rispetto al 2023 e al livello più basso dopo il 2009, quando però la popolazione italiana era più numerosa. Per i più giovani la percentuale resta più alta di quella degli anziani, ma se per gli under 18 la quota delle persone a rischio di povertà cala dal 24,7% al 23,2% per gli over 65 aumenta dal 16,9% al 17,6%.
La povertà lavorativa sale in Italia soprattutto per gli indipendenti con il 17,2% che ha redditi inferiori al 60% di quello mediano nazionale (era il 15,8% nel 2023) mentre per i dipendenti la quota sale dall'8,3% all'8,4%. Se risulta povero in Italia il 18,2% degli occupati con appena la scuola dell'obbligo (dal 17,7% del 2023) risulta con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale il 4,5% degli occupati che hanno la laurea (era il 3,6% nel 2023). C'è un altro indicatore, poi, che peggiora. Ed è il gap tra ricchi e poveri. Nel 2024 è tornato ad allargarsi il divario tra chi è in una situazione di indigenza e chi è più benestante dopo una riduzione delle distanze nel 2023: il primo decile delle persone sulla base dei redditi può contare su una quota del reddito nazionale equivalente del 2,5%, in calo rispetto al 2,7% del 2023 (era del 2,5% anche nel 2022). L'ultimo decile, quello più "ricco" può invece contare su una quota del reddito nazionale equivalente del 24,8%, in aumento sul 24,1% del 2023.
Il tema si lega ai ritardi nei rinnovi contrattuali e al dibattito politico sul salario minimo. Vera Buonomo, segretaria confederale Uil, sottolinea la necessità di «rinnovare i contratti rispettando le scadenze, con aumenti adeguati a sostenere il potere d’acquisto, e detassare i miglioramenti salariali», criticando le «risposte evasive» di governo e imprese. Il Pd rilancia la proposta di salario minimo, con il deputato Arturo Scotto che accusa il governo di «sabotare» la misura e chiede urgenza nel calendarizzare il disegno di legge.
Nonostante l’aumento dell’occupazione abbia contenuto il rischio povertà generale, i lavoratori subiscono una crescente pressione economica legata al calo del potere d’acquisto, spesso non compensato dagli incrementi contrattuali. Parallelamente, la deprivazione materiale (l’impossibilità di accedere a beni essenziali) scende all’8,5% (circa 5 milioni di persone), il livello più basso dal 2015. Tra le difficoltà più comuni, vengono segnalate: riscaldare adeguatamente la casa, affrontare spese impreviste, garantire un’alimentazione proteica regolare o una connessione internet.
