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Giustizia e ambiente, troppe norme mal scritte frenano lo sviluppo sostenibile

Lo Stato di diritto si regge sulle parole scritte nelle leggi che fa il Parlamento: confuse quelle, confuso tutto
 |  Approfondimenti

L’interminabile dibattito sullo stato della giustizia in Italia sembra relegato ai talk show e al match infinito fra garantisti e giustizialisti, ignorando la giurisdizione, ovvero l’attività e l’organizzazione dello Stato diretta all’attuazione della norma giuridica nel concreto.

Lo Stato di diritto si regge sulle parole scritte nelle leggi che fa il Parlamento. Confuse quelle, confuso tutto. Questa è la fonte primaria dalla quale discendono funzioni e dis-funzioni.
Come è stato osservato da un famoso magistrato (Paolo Ielo) “l’eccesso di regolazione e la scarsa qualità della regolazione, portano all’impossibilità di sapere cosa si può e cosa non si può fare, ciò che è lecito e ciò che è illecito. Talvolta sembra che tutta una serie di provvedimenti legislativi, amministrativi e perfino le sentenze, siano scritte attraverso la logica del ‘rendere difficile il facile attraverso l’inutile'”.

E l’ex Presidente della Cassazione ci ha messo il carico “Oggi la legge si è decodificata, è dispersa in un mare di normative speciali, disordinate, alluvionali, spesso collocate in provvedimenti che contengono previsioni sui temi più disparati. L’ordinamento giuridico ha assunto in molti tratti le sembianze di un labirinto. La tecnica legislativa ha subito un’involuzione, il ritmo legislativo è divenuto incalzante, spesso spaesante”.

E di fronte a questa situazione la politica e gli opinionisti si azzuffano sulla separazione delle carriere. E il diritto ambientale?

Il Testo unico ambientale (che non esaurisce la selva di altre norme ambientali sparse perfino nei decreti sulle agenzie ippiche) conosciuto anche come Codice ambientale, è suddiviso in otto parti, 2700 pagine, 45 allegati, 318 articoli, oltre 1200 commi e, dalla sua nascita (2006) ha subito oltre mille modifiche contribuendo ad una situazione dove “quasi il 64% dei procedimenti penali che escono dalle Procure dopo la fine delle indagini preliminari non va a giudizio ma viene archiviato. Si tratta di quasi 430.000 fascicoli, secondo i dati forniti dalla Cassazione, e sono una spia di malessere, soprattutto se letta insieme alla percentuale di assoluzioni in primo grado, pari a quella delle condanne (46%). Circa il 70% dei processi in appello ribalta la sentenza di primo grado”.

Solo che, anche per arrivare alla fine del primo grado, si arriva a punte di attesa di oltre 15 anni. Le stucchevoli tenzoni, fra giustizialisti e garantisti potrebbero intanto partire dalla analisi concreta della situazione concreta. Ah, già! Ma bisognerebbe studiare.

Vitaliano Milani

Con alle spalle una lunga carriera che ha attraversato il mondo della politica e dell’ambientalismo, è esperto di transizione ecologica ed economia circolare in particolare, vantando esperienze di spicco come dirigente d’impresa sempre in aziende ambientali. Su greenreport cura la rubrica “L’antitési”, per illuminare le zone d’ombra che restano fuori dal punto di vista delle narrazioni mainstream sulle notizie relative alla sostenibilità eco-sociale.