Anche all’interno delle Forze Armate israeliane cresce il rifiuto per il genocidio in corso a Gaza
Israele continua a bombardare la Striscia di Gaza e ad espandersi continuamente in Cisgiordania, però il suo stesso esercito affronta una crisi profonda; autorevoli fonti dissidenti dal Governo in carica fanno sapere all’esterno che cresce il numero di soldati che rifiutano di servire mentre sono aumentati i casi di suicidio tra le truppe. L'azione di censura esercitata dai vertici dell'esercito nei confronti della stampa tenta di non far trasparire questo malessere in continua crescita che si diffonde tra i soldati, la maggior parte dei quali sono soldati di leva, figli del popolo chiamati a servire in armi il loro Paese.
Sono trascorsi più di 18 mesi dall’inizio della guerra contro la popolazione palestinese, e i metodi adoperati dall’esercito si spingono oltre la crudeltà propria della guerra: infatti, secondo i parametri delle Nazioni Unite, quelli adoperati contro il popolo palestinese possono essere ritenuti coerenti con il genocidio vero e proprio.
Storicamente, il legame tra i cittadini israeliani e lo Stato d’Israele è sempre stato solido e servire il proprio Paese veniva considerato non solo un dovere morale ma anche un servizio che sosteneva lo Stato medesimo, ed era percepito dalla popolazione come un onore farne parte. Da diversi mesi la solidità storica di questo rapporto presenta delle crepe, si è incrinato al punto da apparire sempre più fragile. Vanno segnalate con puntuale attenzione le continue manifestazioni di piazza contro il Governo, accusato di voler proseguire la guerra per salvare sé stesso anziché liberare gli ostaggi a Gaza. La crisi delle Forze di difesa israeliane (Idf) assume una dimensione palpabile fino a manifestarsi in modo evidente. Naturalmente, i media occidentali tacciono oppure minimizzano all’osso la reazione di larga parte, che possiamo definire maggioranza, de cittadini israeliani, soprattutto i più giovani, a schierarsi contro la guerra in atto, che ha assunto la mostruosa dimensione del genocidio.
Sempre le stesse autorevoli fonti riportano il fatto che decine di migliaia di riservisti rifiutano di arruolarsi; sono in continuo aumento le proteste pubbliche fatte da militari in servizio contro la guerra. Bisogna anche rimarcare il dato inquietante che si associa al numero di suicidi tra i soldati, in costante e preoccupante crescita rispetto al passato. Tutto questo, va detto, avviene in un contesto in cui la sfiducia della popolazione verso l'istituzione militare, pilastro storico della coesione nazionale israeliana, si manifesta sempre più pubblicamente, senza remore; l’esercito risponde inasprendo l’azione di censura esercitata soprattutto verso la stampa.
Naturalmente, il Governo non pubblicherà mai i numeri reali; tuttavia, chiunque, recentemente, chi segue i social media in lingua ebraica ha potuto notare che il rifiuto di prestare servizio militare sta diventando sempre più accettato dalla società israeliana.
Ricordiamo, inoltre, che in Israele la coscrizione è obbligatoria per tutti i cittadini maggiorenni; i soldati sono tenuti a prestare servizio militare da riservisti fino a 40 anni. Appare dunque scontato che in tempo di guerra, l'esercito dipenda largamente da questa categoria di soldati; infatti, proprio in seguito all'attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, il tasso di partecipazione dei riservisti era al 120% (riferito al totale complessivo dell’organico dell’esercito, in relazione ai militari di carriera) ma già a marzo 2024, dopo l'interruzione dell'accordo di cessate il fuoco da parte del governo israeliano, la percentuale è scesa drasticamente all'80%. Secondo alcune fonti, il tasso effettivo sarebbe oggi tra il 50 e il 60%, e ciò vuol dire che oltre 100mila riservisti avrebbero rifiutato la chiamata alle armi nell'ultimo anno.
Le analisi effettuate dallo stesso esercito israeliano individuano tra le cause maggiormente preoccupanti i cosiddetti 'rifiuti grigi': soldati che evitano il servizio più per frustrazione, disagio o stanchezza, arrivando in taluni casi a simulare disturbi mentali per essere esonerati dal servizio militare; questo tipo di rifiuto è più difficile da tracciare ma altamente significativo, perché riflette un disagio psichico molto diffuso tra i giovani.
In questo contesto narrativo, assume particolare rilevanza riferire che il 10 aprile scorso, circa mille riservisti dell'Aeronautica militare hanno pubblicato una lettera chiedendo al governo la fine della guerra a Gaza e un accordo per liberare gli ostaggi. A quest’appello hanno subito risposto centinaia di riservisti della Marina e della squadra d'élite dell'intelligence (l'Unità 8.200).
Tra le manifestazioni più tragiche della crisi in corso non possiamo trascurare l'aumento dei suicidi tra i soldati. Lo stesso Idf, nel gennaio scorso, ha reso noto che 28 militari si sono tolti la vita dal 7 ottobre 2023. Il suicidio di un soldato è la forma più estrema di rifiuto del sistema e, naturalmente, per il governo Netanyahu questo tema è un tabù, e tenta tutte le strade per far calare il silenzio.
Tuttavia, non possiamo tralasciare di ricordare che l’idea stessa di esercito di popolo, ha contribuito a plasmare l'identità israeliana: dunque appare inevitabile che prima o poi si arrivi a far saltare quel contratto sociale tra lo Stato e i cittadini israeliani. Il crescente numero di rifiuti, obiezioni e suicidi è il sintomo di un abisso morale; la disumanizzazione dei palestinesi, senza distinzione di sesso e d’età in un contesto crescente di crisi economica e sociale, rischia di trasformarsi in un boomerang per il Governo di Netanyahu: potrà continuare a sganciare bombe, ma una guerra senza soldati non si potrà sostenere.