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Il presidente Usa: «Noi derubati per decenni da amici e nemici»

Trump annuncia dazi all’Ue del 30%, trattative in salita e in Italia rischio perdite per 35 miliardi

Oggi si riuniscono gli ambasciatori dei 27 Paesi comunitari per valutare le «contromisure» messe sul piatto da von der Leyen. Parigi e Berlino per la linea dura, Palazzo Chigi frena: «Non avrebbe alcun senso innescare uno scontro commerciale tra le due sponde dell’Atlantico»
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E alla fine l’annunciata lettera di Donald Trump è arrivata: dal 1° agosto, ha scritto il presidente statunitense nel testo che i vertici Ue si sono visti recapitare nel weekend, in America scatteranno dazi del 30% sull’export europeo. Si tratta di una percentuale più alta di quella su cui per settimane a Bruxelles hanno provato a siglare un’intesa. Una percentuale, inoltre, che il tycoon nella sua lettera accompagna a una postilla tutt’altro che marginale: nel caso l’Unione europea metta sul piatto una risposta ritorsiva, gli Stati Uniti sono pronti a rivedere la cifra aumentandola ulteriormente.

Nel testo, Trump si rivolge anche direttamente alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, dicendole che un modo per rivedere invece al ribasso la percentuale delle tariffe doganali c’è. Ma solo se, scrive, «desiderate aprire i vostri mercati commerciali, finora chiusi, agli Stati Uniti ed eliminare le vostre politiche tariffarie e non tariffarie e le barriere commerciali». Il presidente Usa infatti attacca facendo la vittima: passate 48 ore dall'invio della missiva, torna a dire che gli «Stati Uniti d'America sono stati derubati nel commercio (e nell'esercito!), da amici e nemici, allo stesso modo, per decenni. Questo è costato migliaia di migliaia di dollari, e la situazione non è più sostenibile - e non lo è mai stata! I paesi dovrebbero fermarsi e dire: 'Grazie per i tanti anni di libertà, ma sappiamo che ora voi dovete fare ciò che è giusto per l'America'. Dovremmo rispondere dicendo: 'Grazie per aver compreso la situazione in cui ci troviamo. Molto apprezzato!'». Un soliloquio che la dice lunga sul modo in cui Trump intende poirtare avanti le trattative con i vertici europei.

Del resto, ormai la situazione è chiara, in Europa. Commentando la lettera giunta da oltreoceano, von der Leyen si dice «pronta a continuare a lavorare per un accordo» entro il primo agosto, ma avvisando che parallelamente l’Ue lavorerà per mettere in campo «tutte le misure necessarie» per salvaguardare i propri interessi, «inclusa l’adozione di contromisure proporzionate, se necessario». Quel 30% messo nero su bianco da Trump, dice la presidente della Commissione Ue, andrà necessariamente rivisto, perché altrimenti dazi di tale portata «interromperebbero le essenziali catene di approvvigionamento transatlantiche, a scapito di imprese, consumatori e pazienti su entrambe le sponde dell'Atlantico».

La partita è insomma ancora tutta da giocare, per l’Europa. Oggi ci sarà un primo incontro tra gli ambasciatori dei 27 Paesi comunitari, ed è già chiaro che quella avviata da Trump sarà una partita che andrà giocata anche tra i singoli Stati membri dell’Ue, perché si sono formati due schieramenti ribattezzabili, per semplicità, quelli dei falchi e quelli delle colombe. Quelli cioè più propensi a rispondere colpo su colpo, di fronte alle sparate di Trump, e quelli che invece ancora puntano a una trattativa conciliante con il presidente Usa. «Se non si riuscirà a negoziare una soluzione equa dovremo prendere decise contromisure per proteggere posti di lavoro e imprese in Europa», manda a dire il ministro delle Finanze tedesco, Lars Klingbeil (Spd), tramite un’intervista alla Süddeutsche Zeitung. «La nostra mano resta tesa, ma non ci faremo piacere tutto».

A toni anche più duri ricorre il presidente francese Emmanuel Macron, che da un lato ribadisce che «nel quadro dell’unità europea, spetta più che mai alla Commissione affermare la determinazione dell’Unione a difendere con determinazione gli interessi europei», dall’altro invita a non farsi intimorire dalle minacce di rialzo della percentuale inserite da Trump nella lettera. Difendere gli interessi europei, dice Macron, «significa accelerare la preparazione di contromisure credibili, mobilitando tutti gli strumenti a disposizione, compreso il meccanismo anti-coercizione, se non si raggiunge un accordo entro il 1° agosto».

Per quanto riguarda l’Italia, la premier Giorgia Meloni prova a gettare acqua sul fuoco, ritiene sbagliato mettere in campo misure «di ritorsione» e fa diramare da Palazzo Chigi un comunicato che non fa alcun accenno all’ipotesi «contromisure» pure ipotizzate dalla Commissione europea: «Confidiamo nella buona volontà di tutti gli attori in campo per arrivare a un accordo equo, che possa rafforzare l'Occidente nel suo complesso, atteso che - particolarmente nello scenario attuale - non avrebbe alcun senso innescare uno scontro commerciale tra le due sponde dell’Atlantico». Una linea troppo morbida, per la leader del Pd Elly Schlein, che esorta Meloni a «una presa di posizione netta e forte, che fin qui non c'è stata: non è che per le loro amicizie politiche possono danneggiare l’interesse nazionale e l'interesse europeo».

La linea dell’appeasement dell’Ue nei confronti di Trump, oltre che le per forze di opposizione italiane, è sbagliata anche per gli economisti che da mesi stanno seguendo la pratica dazi Usa. Per l’economista francese Olivier Blanchard, la situazione in cui si trova l’Ue con gli annunciati dazi del 30% è la dimostrazione di come la linea morbida seguita in passato e anche in tempi più recenti dai vertici comunitari non era quella giusta per trattare con l’America: «Essere gentili, rinunciando alla digital tax, non ha portato a nulla per l’Europa.  Una ritorsione intelligente è essenziale, anche se nel breve periodo conduce a pericolose acque economiche e geopolitiche (sì, l'amministrazione Trump potrebbe raddoppiare, finché non si ritira). Una ritorsione intelligente significa qualcosa di molto diverso dalla tariffa uniforme statunitense (che probabilmente è altrettanto negativa per gli Stati Uniti quanto per l'Europa): Significa andare, prodotto per prodotto, verso ciò che fa più male (politicamente o economicamente) e fa meno male all’Ue».

Andare «prodotto per prodotto», colpire quella che da tempo ormai si è manifestata come una vera e propria oligarchia statunitense, è una soluzione che da mesi viene avanzata da economisti di qua e di là dall’Atlantico. Tra l’altro, concentrare l’attenzione sulle big tech americane potrebbe essere una partita da giocare non soltanto dall’Europa in solitaria, ma insieme ad altri soggetti colpiti dai dazi trumpiani. Non a caso scrive sempre Blanchard che sarebbe opportuno «pensare a una ritorsione intelligente comune non solo da parte dell’Ue, ma di Ue+Giappone+Canada+Brasile+chiunque sia disposto a partecipare.  Più paesi ci sono, migliore sarà la lista di ritorsioni intelligenti comuni.  Tagliando più fonti, le tariffe comuni su alcuni prodotti danneggiano maggiormente gli Stati Uniti; aumentando il mercato economico comune, le tariffe danneggiano meno la coalizione.  Per ora un’occasione persa (c’era tutto il tempo per prepararsi)».

Non ci siamo invece preparati e ora, se le trattative in extremis da qui al 1° agosto non troveranno uno sbocco favorevole all’Europa, l’Italia pagherà un prezzo decisamente alto: come scrive Matteo Villa, dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), con tariffe doganali del 39% «il Pil italiano frenerebbe dello 0,4%, il peggior colpo in Europa dopo quello subito dalla Germania (-0,6%)». Sono stati già fatti anche calcoli in valore assoluto, anziché su scala percentuale: l’Italia rischia ricadute per 35 miliardi di euro all'anno.

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.