I dazi di Trump hanno un impatto di 9 miliardi di euro sulle casse dell’Italia
I dazi imposti da Trump all’Unione europea peseranno per circa 9 miliardi sulle casse italiane. Alla questione è dedicata un’analisi di Teha Club dal titolo “Gli impatti della Trumponomics sulle filiere industriali europee ed italiane” fotografa gli effetti della nuova politica commerciale statunitense sull’economia italiana ed europea. Le tasse doganali del 15% sull’export europeo colpiscono settori chiave come automotive, farmaceutico, meccanica e agroalimentare, e il nostro Paese rischia un impatto stimato che sfiora le due cifre: in uno scenario in cui le imprese siano disposte ad assorbire parzialmente l’incremento dei costi, la contrazione dell’export si ridurrebbe, pur restando significativa, a circa 6,7 miliardi di euro.
Lo studio sottolinea che la nuova stagione della politica economica americana ha ridisegnato in pochi mesi gli equilibri globali. Il costo per l’Europa è elevatissimo: l’onere tariffario stimato è di 75,8 miliardi di euro l’anno, un valore 13 volte superiore ai 5,9 miliardi registrati nel 2024.
L’Italia, evidenzia il report, figura tra i Paesi europei con il maggiore avanzo commerciale verso gli Stati Uniti: 38,9 miliardi di Euro nel 2024, una cifra più che raddoppiata nell’ultimo decennio. I settori trainanti – macchinari, farmaceutico, automotive, moda e agroalimentare – sono anche quelli più vulnerabili ai dazi. Nonostante questo, l’impatto complessivo resta gestibile: la perdita potenziale di export oscilla fra 9 e 6,7 miliardi di euro, pari all’1,1% delle esportazioni italiane globali. Una quota che, grazie alla forte diversificazione geografica del nostro export, può essere ridistribuita verso altri mercati.
L’effetto combinato tra nuovi dazi e svalutazione del dollaro crea un quadro ancora più complesso. La moneta statunitense ha perso il 10,6% del valore tra gennaio e giugno, rendendo automaticamente più costose le merci importate dall’Europa. Per i consumatori americani, ciò si traduce in un rincaro medio del 25,6% sui prodotti europei, con un effetto inflattivo che potrebbe ridurre la domanda e spingere le famiglie a privilegiare beni locali o provenienti da Paesi non soggetti a dazi. Nel medio periodo, questa dinamica rischia di penalizzare ulteriormente l’export italiano, soprattutto nei comparti a maggiore elasticità della domanda.
Lo studio sottolinea anche che se da un lato l’accordo offre all’Europa alcune tutele importanti – come le esenzioni per farmaci generici, aerospazio e risorse naturali non disponibili localmente – dall’altro lascia aperti dossier cruciali. In particolare, restano irrisolte le questioni relative ad acciaio e alluminio, comparti strategici per l’industria europea e italiana. Inoltre, il tetto del 15% rappresenta comunque un livello tariffario molto superiore alla media storica pre-2025 (2-3%).
In questo scenario, l’Italia gode di una posizione privilegiata in termini di resilienza commerciale. Il nostro export raggiunge oltre 100 Paesi, con un livello di diversificazione che ci colloca al 4° posto al mondo e al 2° in Europa. Inoltre, i prodotti italiani risultano tra i meno sostituibili a livello globale: siamo il 21° Paese per bassa sostituibilità, grazie alla distintività e alla qualità del Made in Italy. Questi fattori, uniti alla capacità di innovazione e flessibilità delle imprese, rappresentano il vero scudo competitivo contro le nuove barriere imposte da Washington.
La Trumponomics - è la conclusione dell’indagine condotta dal Teha club - pur creando difficoltà significative per alcuni comparti industriali, non compromette la tenuta complessiva del sistema Italia. L’impatto complessivo è moderato e gestibile, ma richiederà politiche mirate di sostegno ai settori più esposti. In un contesto globale segnato da crescente protezionismo e indebolimento delle istituzioni multilaterali, sarà fondamentale per l’Italia e l’Europa rafforzare la propria autonomia industriale e definire strategie di lungo periodo capaci di difendere competitività e occupazione.