Skip to main content

Il workshop “Spopolamento, migrazioni e genere”

In dieci anni l’Italia ha perso 1,4 milioni di abitanti, colpito soprattutto il Sud: -918 mila persone

Svimez lancia un appello: «Mettere la cittadinanza al centro delle politiche per rendere attrattivi i territori, giovani non valorizzati dal mercato del lavoro». Save the children: «Troppi adolescenti rassegnati a partire, necessario ricostruire fiducia e creare opportunità concrete»
 |  Approfondimenti

I dati, prima di tutto, che per quanto sintetici forniscono un quadro ben definito della situazione. Nel periodo 2014-2024, l’Italia ha perso 1,4 milioni di abitanti, con un calo demografico che colpisce soprattutto il Mezzogiorno: -918 mila persone. A pesare è il saldo naturale negativo (-3,8‰), solo in parte compensato dai flussi migratori (+1,5‰). A crescere restano poche eccezioni come Bolzano, Trento, Emilia-Romagna e Lombardia.

Se ne è parlato nel corso del workshop “Spopolamento, migrazioni e genere” promosso da Fondazione Giacomo Brodolini e Svimez con il supporto di Save the Children e la partecipazione del W20. Al centro della discussione le dinamiche di spopolamento delle aree interne, le migrazioni e le differenze di genere, con particolare attenzione al ruolo delle politiche pubbliche, del lavoro e dei servizi, compresi quelli scolastici essenziali.

I numeri dicono che l’Italia continua a perdere la sua parte più giovane e dinamica. Tra il 2019 e il 2023 sono 88 mila i giovani 25-34 anni expat italiani in possesso di una laurea, a fronte di circa 77 mila giovani laureati stranieri che hanno trasferito la loro residenza nel nostro Paese. Al Sud il quadro demografico peggiora ulteriormente per effetto dei saldi negativi della mobilità interna: solo nel 2024, dei circa 52mila meridionali trasferiti al Centro-Nord, oltre il 55% ha tra i 25 e i 34 anni. Una tendenza, spiegano i promotori dell’appuntamento svolto a Roma, che è aggravata da un mercato del lavoro che offre poche prospettive ai giovani e da un minore afflusso di migranti, con conseguente indebolimento del ricambio generazionale.

Se già lo stato attuale è caratterizzato da molti elementi negativi, lo scenario al 2035 è ancora più critico, stando ai dati elaborati dalle associazioni: la scuola primaria perderà oltre mezzo milione di alunni, di cui quasi 200mila solo al Sud. Sardegna (-35%), Abruzzo (-25,8%), Molise (-23,6%), Basilicata (-23,5%) e Puglia (-23,3%) sono tra le regioni più colpite. Già oggi circa 3mila comuni, quasi la metà nel Mezzogiorno, rischiano la chiusura della loro unica scuola primaria.

In tutto ciò, sottolineano gli organizzatori della giornata di riflessione su tali temi, il Pnrr rappresenta un’occasione cruciale: con investimenti in infrastrutture sociali, come gli asili nido, può contribuire a riequilibrare l’offerta pubblica di servizi essenziali, sostenere, direttamente e indirettamente, l’occupazione giovanile e femminile e rendere più attrattivi i territori. Già nel 2024, la spesa per investimenti dei Comuni destinata agli asili nido è cresciuta di dieci volte rispetto al periodo pre-Pnrr, che ha destinato a questa missione oltre 4 mld di euro. Ad oggi, dal monitoraggio dei progetti in avanzato stato di attuazione, la Svimez stima che si è avviato un percorso di convergenza grazie al Pnrr: dal 6,8 al 13,8 % nel Sud, mentre il Centro-Nord è passato dal 17, al 21,8%. Solo portando a termine tutti progetti si riuscirebbe a riequilibrare da Nord a Sud l’offerta pubblica di posti nido fino a una copertura del 25%.

Per Serenella Caravella di Svimez «la chiave è ribaltare la narrazione: l’inclusione e l’accoglienza possono ridurre l’emigrazione, attrarre nuove famiglie e spezzare il circolo vizioso tra spopolamento e rarefazione dei servizi. Coesione sociale, economica e territoriale – insieme alle transizioni verde e digitale – devono restare al centro delle politiche nazionali ed europee. “Freedom to move, freedom to stay”, significa creare opportunità e rendere attrattivi i territori: solo così il Mezzogiorno potrà ritrovare un futuro nell’Europa di domani».

Spiega Raffaela Milano, direttrice ricerca di Save the Children: «L’analisi dei dati e il confronto sviluppato nel corso della giornata di oggi restituiscono un quadro nitido e al tempo stesso allarmante: i giovani fin dall’adolescenza sanno che per avere migliori opportunità di vita dovranno allontanarsi dal Paese. Che si tratti di trasferirsi in contesti urbani più dinamici o di cercare prospettive professionali e di vita all’estero, emerge da parte di ragazzi e ragazze – e di più per chi ha un background migratorio - una forte esigenza di cercare condizioni migliori di quelle attuali. Le aspettative delle ragazze di poter fare nella vita quello che si desidera o per cui si è portati risultano poi significativamente inferiori rispetto a quelle dei coetanei maschi. I dati evidenziano non solo il rischio di perdere energie e talenti per il Paese, ma anche la diffusione di un clima di sfiducia e rassegnazione. In un contesto segnato da una crisi demografica senza precedenti, tale tendenza non può essere ignorata. È necessario un cambio di rotta deciso: senza interventi strutturali e una visione lungimirante che rimetta al centro i giovani, il rischio è quello di un Paese privo di prospettive per loro. Occorre restituire fiducia, opportunità concrete e un orizzonte ai giovani, alle ragazze, a chi è nato in Italia e a chi vi è giunto da altri Paesi».

Per Manuelita Mancini, direttrice Fondazione Giacomo Brodolini, «le donne migranti e non, i bambini e le bambine sono la leva principale dello sviluppo dei territori per la loro rigenerazione e per rafforzare il tessuto sociale, ma questo non può realizzarsi senza politiche che puntino al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei territori».

Linda Laura Sabbadini, delegata del Women20 sottolinea che «li nostro Paese sta pagando la debolezza storica delle politiche che non hanno mai avuto tra le priorità la situazione delle donne. Non solo siamo ultimi in Europa come tasso di occupazione femminile. Le giovani sono molto più indietro delle coetanee europee come livello di istruzione e competenze».

 

Redazione Greenreport

Greenreport conta, oltre che su una propria redazione giornalistica formata sulle tematiche ambientali, anche su collaboratori specializzati nei singoli specifici settori (acqua, aria, rifiuti, energia, trasporti e mobilità parchi e aree protette, ecc….), nonché su una rete capillare di fornitori di notizie, ovvero di vere e proprie «antenne» sul territorio.