Resistenza quilombola: riprendersi il territorio, affermare i propri diritti
In Brasile, esiste una lotta per i diritti umani, il diritto alla terra e al diritto alla pura e semplice esistenza, che in Europa è poco conosciuta. È quella dei quilombolas: le comunità quilombola nascono dal movimento di resistenza di africani schiavizzati al regime schiavista e rappresentano un gruppo sociale che si autodefinisce a partire dalla propria ancestralità, dall’organizzazione e azione politica, dalla relazione con la terra e il territorio, dalle proprie pratiche socioculturali. Oggi in tutto il Brasile sono circa 8000 le comunità riconosciute per un totale di 1,3 milioni di persone. Eppure, ad oggi questa grande popolazione non vede riconosciuti i propri diritti fondamentali come quello del riconoscimento delle terre ancestrali e, al contrario, è tuttora sottoposta a una discriminazione culturale e religiosa profonda. Dal 2003, sotto il governo Lula, fu emanato un decreto, poi bloccato di fatto sotto Bolsonaro, che permetteva loro di chiedere il riconoscimento e l’uso collettivo delle terre dei loro avi, la cosiddetta titolazione delle terre: un processo che permette di chiudere il cerchio dell’identificazione di una popolazione che è strettamente connessa al territorio in cui vive e in cui hanno vissuto gli antenati. Li aiuterebbe anche a mettersi al riparo dalle invasioni dei latifondisti e delle imprese private che invece sfruttano le loro risorse.
Il processo di titolazione può durare fino a 20 anni, ed è questa estrema lentezza nel processo di regolarizzazione fondiaria che contribuisce più di ogni altra cosa a un contesto di violenza e vulnerabilità per i leader e gli attivisti e attiviste quilombolas: i conflitti con grandi proprietari terrieri, imprese e il governo sono comuni, a causa di un grosso processo di deforestazione e degrado ambientale che le comunità subiscono senza ricevere una compensazione per i danni: “Cento anni dopo l’abolizione della schiavitù in Brasile, nel 1988, siamo stati riconosciuti come quilombola ma, da allora, solo il 5% delle comunità sono state riconosciute ufficialmente, circa 450 su 8000 solo 450. Di questo passo ci vorranno 2000 anni perché tutte le comunità vengano titolate e vedano riconosciuti i loro diritti”.
A parlare è Nathalia Purificação, in Italia e in Europa dai primi di ottobre insieme a una delegazione di attivisti e attiviste quilombola, proprio per far conoscere questa lotta a istituzioni e agenzie ONU e per denunciare la situazione, la continua violazione di diritti, gli omicidi e le minacce che ricevono: “Dal 2019 al 2024 – racconta - sono stati ben 46 omicidi di quilombolas difensori e difensore dei diritti umani”. Inoltre, secondo il report realizzato dalla Conaq l’associazione di Coordinamento Nazionale di Articolazione delle Comunità Quilombola, dal titolo “Vite interrotte”, dal 2008 al 2024, sono state 22 le donne quilombolas (in gran parte leader comunitarie) uccise. Le principali motivazioni degli omicidi sono appunto i conflitti fondiari (35%) e la violenza domestica per le donne (24%) che sono le più vulnerabili nelle situazioni di conflitto.
Almeno altre 58 le minacce registrate contro comunità quilombola, con circa 9.800 persone a rischio costante di morte a causa di conflitti territoriali, invasioni armate e distruzione di case. “Possiamo solo difenderci. Continuamente –dice Maria Aparecida Ribeiro de Sousa, coordinatrice nazionale della CONAQ e coordinatrice del Collettivo di Donne della CONAQ e leader comunitaria- La nostra è una lotta fatta con sangue sudore e lacrime. Non solo razzismo ma anche machismo e classismo. È un insieme di violenza che attraversa il nostro corpo e minaccia la nostra esistenza”.
Le due rappresentanti della Conaq insieme a José Maximino Silva, coordinatore nazionale della CONAQ e coordinatore per la CONAQ del progetto Resistenza Quilombola sono venuti in Europa grazie al progetto COSPE sostenuto dall’Unione Europea “Resistencia quilombola”. Il progetto nasce proprio come risposta alle violazioni di diritti e alla violenza che comunità e persone quilombolas vivono quotidianamente in Brasile e che ha coinvolto oltre 90 comunità in situazione di conflitto e con leader minacciati in un percorso che ha messo a punto misure e protocolli comunitari di protezione e che ha permesso la costruzione di raccomandazioni contestualizzate e necessarie per l’intera popolazione quilombola.