Prima della grande fuga. Perché serve tempo, per una comunicazione ambientale responsabile
Quali sono le caratteristiche ineludibili di un processo comunicativo responsabile? E quali le regole da osservare nei vari momenti di progettazione, attuazione, declinazione e misurazione degli impatti generati? Sono questi i quesiti che attraversano il nuovo libro di Stefano Martello – giornalista e comunicatore, senior mentor del Laboratorio di comunicazione Comm to action di Bologna, coordinatore di Eco media academy e condirettore della collana New Fabric di Pacini Editore –, intitolato Prima della grande fuga. La comunicazione ambientale responsabile al tempo della multiformità (Pacini Editore).
Domande apparentemente marginali, utili per qualche relazione convegnistica o per una dissertazione di laurea, ma in realtà centrali per restituire alla tecnica comunicativa quella autorevolezza che molti studi dichiarano in pericolo, stressata da un passo sempre più dissennato. Sempre meno attenta ai particolari, alla varietà dei pubblici a cui si rivolge e sempre più ossessionata da un confronto polarizzato che penalizza la complessità della materia ambientale a favore di un approccio che, talvolta anche in buona fede, tenta di essere più semplice. Finendo, però, per essere considerato semplicemente superficiale.
Il libro – con la complicità di una case history coinvolgente e avventurosa, realmente accaduta durante la Seconda Guerra Mondiale e già trasposta sul grande schermo in uno dei film più iconici della cinematografia – risponde a queste domande, originando dal significato più intimo ed essenziale di ogni processo comunicativo, a prescindere dall’ambiente in cui viene esercitato: una relazione che mette in comune persone, ambienti, idee e azioni nella cornice di un confronto trasparente e sincero. Che per diventare tale, ha bisogno di un giusto tempo di accreditamento, per sedimentare un necessario senso di fiducia tra le parti coinvolte.
Su questo punto, l’autore è netto: il tempo reattivo e accelerato che abbiamo scelto di percorrere non è compatibile con una materia multidisciplinare che aggrega ambiti che sino ad oggi non si sono mai frequentati e che è naturalmente rivolta ad un pubblico diffuso, per aspettative, competenze e desideri. Un elemento che, da solo, rischia di danneggiare non tanto la resa del singolo messaggio ma anche, soprattutto, la credibilità dell’intero sistema.
L’alternativa proposta diventa, così, quella di una più consapevole lentezza (critica, programmatica, procedurale e, alla fine, misurativa) da esercitare in un ambiente informativo costante e continuativo nel tempo. In cui, per intenderci, non si parli di ambiente, di sostenibilità o di crisi climatica solo in occasione di qualche evento contingente, procedendo in una azione di sedimentazione che, prima di essere tecnica o specialistica, è squisitamente culturale. Avvertendo i nostri pubblici che, oltre agli oneri e alle sfide e alle criticità, esistono anche gli onori, le opportunità, le premesse positive.
Allontanando l’idea di una comunicazione (ambientale e non) responsabile intesa come mera formula da rivendicare e abbracciando la faticosa opzione di un processo, di una narrativa, di una strategia che devono essere costruiti con disciplina. E salvaguardati con coerenza nel tempo.