
Nove italiani su 10 consapevoli delle minacce agli ecosistemi: Greenpeace lancia “Time to resist”

Oggi è la Giornata mondiale dell’ambiente, un appuntamento che richiama la necessità di un maggior impegno per combattere l’inquinamento da plastica e l’uso di combustibili fossili. E in questa giornata Greenpeace denuncia il fatto che a essere gravemente minacciato non è solo il nostro Pianeta, a rischio non sono solo gli ecosistemi, «anche Greenpeace è sotto attacco». L’associazione ambientalista parla di «un attacco violento e ingiusto che mira ad un solo scopo: mettere a tacere chi combatte per salvare la Terra, soffocare la voce di chi dà voce alla Natura in pericolo».
Il riferimento è a una serie di cause intentate contro singoli e non solo, ma prima di raccontare questo c’è un’altra questione portata alla luce da Greenpeace che merita di essere sottolineata. Dinanzi a questo scenario, gli italiani non sono affatto indifferenti: più di 9 persone su 10 hanno la chiara percezione che uno o più ambienti naturali sono sotto minaccia, ritengono che le cause principali siano vari tipi di inquinamento e i cambiamenti climatici, pensano che ognuno di noi sia chiamato a intervenire e quasi la metà sottolinea l'importanza che organizzazioni ambientaliste e comunità scientifica diano voce a chi voce non ne ha. Sono questi alcuni dei risultati della ricerca condotta a fine maggio 2025 - tramite 1.016 interviste on line a italiani 18-70enni – da AstraRicerche per Greenpeace Italia, che lancia la campagna “Time to resist”.
È tempo di resistere, ma contro cosa? Intanto, contro le cosiddette Slapp (Strategic Lawsuit Against Public Participation), cause giudiziarie che indignano e preoccupano. A seguito della causa intentata dalla Big Company petrolifera Energy Transfer - il cui Presidente ha finanziato la campagna elettorale di Donald Trump - una giuria negli Usa si è espressa a favore di una condanna che, se confermata, porterebbe l'Organizzazione a pagare oltre 660 milioni di dollari. «Si tratta di una cifra sproporzionata, deliberatamente distruttiva, volta a reprimere l'Organizzazione e, con essa, una voce fondamentale nella difesa della Terra – spiega Chiara Campione, direttora del Programma di Greenpeace Italia - Ma non ci faremo zittire: la campagna Time to resist è un invito a sostenerci in questo momento cruciale per la sopravvivenza sia del Pianeta che di chi si batte per difenderlo. Una battaglia per la vita e per i diritti, che richiede il sostegno di tutti».
Questo tipo di cause, chiamate Slapp, sono azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica. Per la maggioranza degli italiani le Slapp, oltre che essere un fenomeno estremamente preoccupante (58,8%), rappresentano un abuso del sistema giudiziario, che viene strumentalizzato non per ottenere giustizia, ma per sopprimere il dissenso e la critica (57,1%), una minaccia per la democrazia, la libertà di espressione e ogni forma di dissenso pacifico e non violento (56,8%). Per la netta maggioranza degli intervistati, tali cause giudiziarie sono un ostacolo significativo all'azione di chi si batte per la tutela dell'ambiente (58,9%) e anche se capita a volte di non condividere l'agire di tali organizzazioni la convinzione è che non debbano essere schiacciate, messe a tacere, marginalizzate (56,7%). L'opinione generale è che le grandi organizzazioni o potenze dovrebbero usare il loro potere in modo più responsabile (75,6%).
A prevalere fortemente negli italiani è l'idea che un forte indebolimento, silenziamento o chiusura di Greenpeace e di altre organizzazioni affini costituirebbe un danno, l'offesa di un diritto di tutti e di ciascuno (è una consapevolezza trasversale a tutti gli italiani, meno presente solo presso i più giovani, la Gen Z che condivide meno di tutti i rischi associati a un tale scenario): perché la Natura, che non ha una sua 'voce', perderebbe chi le dà voce nel dibattito pubblico (69,8%), perché politici e aziende spregiudicati potrebbero agire senza limiti, danneggiando l'unico Pianeta disponibile (68,7%), perché piccoli e grandi disastri ambientali non sarebbero conosciuti dalla popolazione come lo sono invece adesso (68,6%).
La quasi totalità degli italiani ha ben chiara l'idea di uno o più ambienti naturali particolarmente a rischio sul Pianeta (è appena il 2,9% a non saper fornire alcuna indicazione). Ad essere ritenuti gravemente minacciati in primis gli ambienti acquatici e semi-acquatici (91,1%) immediatamente seguiti dagli ambienti terrestri. Fra i più esposti al rischio, la maggioranza degli italiani indica gli ecosistemi polari (Artico e Antartico, 55,3%), gli oceani e i mari (54,4%) e anche le foreste pluviali (in particolare Amazzonia, Borneo, Congo, 51,3%). Quasi la metà degli italiani ritiene particolarmente a rischio le barriere coralline (48,7%). Vi sono poi una serie di altri ambienti che, sebbene a rischio, sono segnalati meno di frequente fra i più esposti: le zone umide (laghi, fiumi, paludi, 16,3%), gli ecosistemi montuosi (13,7%), i deserti (6,3%).
Spiega Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia: «Il fattore che, più di tutti, minaccia gli ambienti naturali è il cambiamento climatico i cui effetti negativi sono certamente più evidenti in tutti quegli ambienti che si reggono su delicati e fragili equilibri. Tra questi risultano particolarmente impattate le regioni polari, specie l'Artico, ma anche le barriere coralline e le foreste pluviali. La straordinaria biodiversità di queste ultime è messa in pericolo a causa di ulteriori fenomeni come la perdita e la frammentazione degli habitat naturali, l'inquinamento, la gestione non sostenibile delle risorse naturali e l'introduzione di specie aliene».
La minaccia principale per l'ambiente è l'inquinamento, con l'81,3% del campione che individua diverse forme di contaminazione e inquinamento quali responsabili del rischio. Primo fattore di pericolo in assoluto nella percezione degli italiani è l'inquinamento da plastica (39,8%) seguito a breve da quello atmosferico (emissioni industriali, traffico veicolare e combustione di biomassa, 36,1%). Altre forme di contaminazione che impattano in misura significativa sull'ambiente sono l'inquinamento idrico (scarichi industriali, agricoli e domestici, 26,9%), gli sversamenti di petrolio (21,7%), l'inquinamento del suolo (21,0%) e, meno indicato, l'inquinamento acustico e luminoso (6,8%).
Commenta Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna Time to Resist: «e aLttività umane producono grandi quantità di sostanze inquinanti. Tra queste, i gas ad effetto serra come anidride carbonica e metano sono i principali responsabili dei cambiamenti climatici e dell'incremento delle temperature del pianeta. Quello dell'inquinamento da plastica è un fenomeno piuttosto recente, cresciuto in modo esponenziale negli ultimi cinquant'anni e che fatichiamo a contenere in assenza di regole e leggi rigorose. Purtroppo, già oggi questa forma pervasiva di contaminazione non risparmia nessun ecosistema e nemmeno il nostro corpo e, se i numeri della produzione continueranno a aumentare come da previsioni, anche l'inquinamento che ne deriva è destinato a peggiorare»
Per il 71,2% il pericolo è legato ai cambiamenti climatici. Ad essere più indicato fra le cause e gli effetti del riscaldamento globale è lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari (30,3%). Poi le emissioni di gas serra (27,0%) e a seguire gli eventi meteorologici estremi (siccità prolungate, ondate di calore, inondazioni e tempeste più intense e frequenti, 21,3%) e le variazioni delle temperature e delle precipitazioni (20,4%). Segnalate infine come critiche il riscaldamento delle acque (18,1%) e l'acidificazione degli oceani dovuta all'aumento della CO2 atmosferica (12,5%).
Il 68,5% del campione vede nell'alterazione di habitat con modifiche agli ecosistemi i principali rischi per l'ambiente. In tale ambito l'impatto più grave è individuato nella deforestazione (l'abbattimento di foreste su vasta scala per far spazio ad agricoltura, 29,9%) e nel disboscamento illegale (29,0%). A seguire l'urbanizzazione e consumo di suolo (18,7%), gli incendi boschivi (17,7%) e l'alterazione dei corsi d'acqua e delle zone umide (13,7%).
Fra gli ambiti di rischio più significativi, il 39,1% teme in particolare lo sfruttamento eccessivo delle risorse, con un prelievo insostenibile; i pericoli principali sono individuati nell'agricoltura intensiva (18,1%) e nell'eccessivo prelievo di acqua per agricoltura, industria e uso domestico (12,2%), un poco meno nella pesca eccessiva (9,8%), nella caccia e bracconaggio (7,8%). In ultimo, un intervistato su dieci segnala i rischi derivanti dall'introduzione di specie aliene invasive (10,1%).
Sottolinea Simona Abbate, campaigner Clima ed Energia di Greenpeace: «Il cambiamento climatico, pur essendo meno visibile dell'inquinamento quotidiano, dovrebbe essere la principale preoccupazione delle persone poiché è una minaccia esistenziale che agisce in modo silenzioso ma devastante. I suoi effetti colpiscono ogni aspetto della nostra vita: salute, economia, sicurezza e accesso alle risorse. La causa è attribuibile alle emissioni di gas climalteranti, in particolare anidride carbonica (CO₂), metano (CH₄) e protossido di azoto (N₂O), che trattengono il calore nell'atmosfera e determinano l'aumento della temperatura media globale. Questo riscaldamento provoca eventi climatici estremi, siccità prolungate, lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari, nonché un aumento del rischio di epidemie legate alla diffusione di vettori patogeni. Tra le conseguenze più gravi vi sono anche l'innalzamento della temperatura dei mari e l'acidificazione degli oceani, che minacciano gravemente gli ecosistemi marini e la sicurezza alimentare globale.»
È convinzione forte condivisa dal campione che tutta la società umana, ogni suo membro e organizzazione, a tutti i livelli, ha il dovere di dar voce alla Natura. Parimenti Governi e Organizzazioni Internazionali (73,8%); A 'pesare' particolarmente sono governi e istituzioni pubbliche (58,8%), che distaccano le organizzazioni internazionali comunque indicate da oltre un intervistato su tre (35,6%) e Comunità locale e Cittadini (73,7%). Domina la responsabilità a cui ciascuno di noi, cittadino o famiglia, è chiamato (61,8%) rispetto al – comunque significativo – peso attribuito alle Comunità Locali (24,9%). Quasi la metà degli intervistati evidenzia il ruolo di protezione che dovrebbero svolgere Organizzazioni ambientaliste e comunità scientifica (44,7%) con le Organizzazioni ambientaliste, Enti del Terzo Settore, Organizzazioni Non Governative al 27,1% e le comunità scientifiche e di ricerca al 22,0%. Il 14,9% chiama in causa imprese e settore privato.
Quando si introduce il tema delle Slapp (illustrando che si tratta delle cause giudiziarie contro la partecipazione pubblica, portate avanti spesso da Paesi o aziende che chiedono pene o risarcimenti altissimi, con la volontà di mettere a tacere organizzazioni ambientaliste, giornalisti, attivisti e singoli cittadini che si occupano della salvaguardia dell'ambiente) è poco meno di un intervistato su tre ad affermare di conoscerle 31,2%, ma la maggioranza di costoro riconosce di non essere bene informato in proposito (25,5%); è solo il 5,7% che ritiene di essere bene informato. La netta maggioranza del campione non ne sa nulla e vorrebbe essere informato in merito 54,6%. È circa un intervistato su sette che non ne sa nulla e nemmeno ha l'interesse a essere informato a riguardo 14,3%. La grandissima maggioranza degli intervistati ha già informazioni e/o desidera approfondire in merito alle Slapp: si tratta dell'85,7% del campione. A conoscere già le Slapp sono in particolare i più giovani: la Gen Z (39%) e i Millennials (37%). A non saperne nulla e a voler essere informati in proposito sono soprattutto le generazioni più adulte: la Gen X (58%) e i Baby Boomers (61%). Infine, per quel che riguarda la minoranza che non conosce le SLAPP ma nemmeno desidera approfondire spiccano senza pari i giovani uomini Gen Z (21%).
Abbate sottolinea che le Slapp rappresentano una grave minaccia alla libertà di espressione e al diritto di critica, strumenti fondamentali in una democrazia. «In un contesto come quello attuale, segnato dalla crescente criminalizzazione del dissenso, queste cause infondate mirano a intimidire e silenziare le voci scomode, aggravando la già complessa operatività delle Ong come Greenpeace. Non si tratta di vere dispute legali, ma di abusi del sistema giudiziario per scoraggiare l'attivismo e la partecipazione civica. Tutti dovremmo essere consapevoli del pericolo che rappresentano: se colpiscono chi protesta oggi, non solo domani potrebbero colpire chiunque, ma rischiamo di non avere più forme di dibattito, confronto e dissenso. La direttiva europea anti-Slapp è uno strumento cruciale per tutelare la società civile e il giornalismo indipendente. È urgente che la politica italiana recepisca questa normativa senza ritardi né indebolimenti. Garantire protezione legale a chi denuncia ingiustizie non è un favore: è un dovere democratico. Solo così si può preservare lo spazio civico in un Paese libero».
