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La crisi climatica potrebbe provocare entro il 2050 fino a 14,5 milioni di morti e danni per 12.500 miliardi di dollari

È quanto emerge da un rapporto del World economic forum condotto a livello globale insieme a Boston consulting group. I tre settori più esposti sono agrifood, costruzioni e sanità che, guardando al nostro Paese, rappresentano tra l’altro una quota rilevante del Pil italiano
 |  Crisi climatica e adattamento

Scarsa qualità dell’aria, mancanza di acqua sicura, temperature crescenti: gli stress sistemici legati al clima potrebbero provocare fino a 14,5 milioni di morti entro il 2050. E conseguenti danni economici per 12.500 miliardi di dollari a livello globale. Entrambi i dati emergono dal rapporto del World economic forum (Wef), sviluppato insieme a Boston consulting group (Bcg), titolato Building economic resilience to the health impacts of climate change (Costruire la resilienza economica agli impatti sanitari dei cambiamenti climatici).

I dati, che leggendo il report si verificherebbero in assenza di adeguate politiche di adattamento, sono scioccanti ma non sono poi tali da indurre stupore se si considera nell’ultimo decennio, gli eventi meteorologici estremi hanno accresciuto il tasso di mortalità di 15 volte nelle regioni più fragili rispetto ai Paesi dotati di maggiori strumenti di prevenzione e risposta alle emergenze. Eppure, nonostante la rilevanza del fenomeno, meno del 5% dei finanziamenti globali per l’adattamento climatico è oggi destinato alla tutela della salute, lasciando aperto un divario che rischia di ampliarsi proprio mentre l’urgenza cresce.

«È un sottofinanziamento strutturale, spiega Alessandra Catozzella, managing director e partner di Bcg. Abbiamo investito per decenni negli asset, perché il danno fisico si vede subito. Ma il danno alla salute è il fattore che più inciderà sulla produttività futura». «Il clima è un enorme problema di business: colpisce gli individui, ma allo stesso modo le imprese», continua Lorenzo Fantini, managing director e partner di Bcg. «I tre settori più esposti, agrifood, costruzioni e sanità, rappresentano una quota rilevante del Pil italiano. Quando le temperature superano certe soglie, i cantieri si fermano, la produttività crolla, le filiere si interrompono. E gli eventi che consideravamo "una volta ogni 500 anni" stanno diventando "una volta ogni 50". Per anni le aziende si sono concentrate sulla protezione degli asset, ora stanno capendo che il vero rischio riguarda le persone».

Lo studio analizza proprio i tre settori più esposti, che insieme rischiano di perdere 1.500 miliardi di dollari di produttività a livello globale. Il dato, calcolato in uno scenario intermedio, non comprende il settore assicurativo, suggerendo che l’impatto complessivo sull’economia globale potrebbe risultare significativamente maggiore.

Nel settore agricolo e dei prodotti alimentari, che impiega circa il 30% della forza lavoro globale, l’aumento delle temperature, la diffusione di malattie trasmesse da vettori, la perdita di resa dei raccolti e i cambiamenti nella qualità nutrizionale dei prodotti agricoli potrebbero compromettere l’offerta alimentare mondiale. La produttività persa, in termini di disponibilità di manodopera, per malattie legate al clima tra il 2025 e il 2050 è stimata in 740 miliardi di dollari, mentre fino a 24 milioni di persone potrebbero trovarsi in condizioni di fame a causa dell’instabilità produttiva. Alcuni studi indicano inoltre che la produzione di colture più diffuse potrebbe ridursi fino al 35%, proprio mentre la domanda globale aumenta.

L’aumento delle temperature e gli eventi climatici estremi influiscono anche sul comparto che comprende edilizia, progettazione degli spazi abitati e infrastrutture urbane, generando perdite di produttività, ritardi nelle attività di costruzione e svalutazione degli asset. Secondo il report, tra il 2025 e il 2050 i lavoratori dell’edilizia subiranno almeno 30 milioni di Daly (disability-adjusted life years), ovvero anni che, a causa di malattie correlate al clima, non verranno vissuti in buona salute, con un impatto economico stimato di almeno 570 miliardi di dollari di output perso.

Dunque anche il comparto sanitario si trova davanti a un paradosso: da un lato sarà chiamato a gestire un aumento significativo delle malattie legate al clima, dalle patologie cardiovascolari aggravate dal calore, alle infezioni come dengue e malaria, fino alle malattie respiratorie dovute a ozono e particolato; dall’altro rischia esso stesso di vedere ridotta la propria capacità operativa a causa dell’aumento di morbilità tra i lavoratori della salute. Le perdite in termini di Daly saranno 8 milioni per il comparto, con conseguente perdita di produttività stimata in 200 miliardi di dollari entro il 2050, mentre i costi sanitari aggiuntivi legati all’aggravarsi delle «patologie climatiche» potrebbero raggiungere 1.100 miliardi di dollari nello stesso arco temporale. Secondo il report, ogni incremento di 1°C oltre i 29°C comporta già oggi un aumento del 5% dei ricoveri ospedalieri in grandi centri urbani.

Il quarto settore analizzato, quello delle assicurazioni, non è incluso nel calcolo delle perdite di produttività, ma è destinato a subire forti ripercussioni. L’aumento della mortalità e delle malattie croniche legate al clima farà crescere i sinistri in ambito salute, vita e responsabilità civile, con implicazioni sui premi, sulla sostenibilità delle coperture e sull’accessibilità ai servizi. Nei Paesi a basso reddito solo l’8% della popolazione dispone di una copertura sanitaria, un divario che rischia di ampliarsi ulteriormente man mano che il costo dei sinistri aumenta e le compagnie riducono la loro presenza nelle aree più esposte.

«A Nuova Delhi due terzi dei lavoratori sono pagati a giornata e quando l'inquinamento supera una certa soglia, non possono lavorare. Per questo è nata una polizza parametrica che paga automaticamente il salario perso: è un esempio di come innovazione assicurativa e clima possano intrecciarsi, che potrebbe trovare applicazioni anche in Europa, soprattutto nei settori più vulnerabili», afferma Catozzella. «Non basta più rimborsare i sinistri, le assicurazioni devono diventare motori di prevenzione: incentivare screening, stili di vita sani, vaccinazioni, turni adeguati, edilizia più resiliente. Quando premi i comportamenti virtuosi, riduci i sinistri. Per ogni euro investito in prevenzione, il settore ne risparmia sei o sette».

Nel rapporto si sottolinea come in questo contesto l’Intelligenza artificiale costituisca uno strumento strategico. Come spiega Fantini «abbatte barriere di costo e complessità, permette di analizzare dati climatici, sanitari e comportamentali, fornendo prevenzione personalizzata. Le assicurazioni possono costruire modelli di pricing più sofisticati, le aziende possono capire come proteggere i propri lavoratori e i sistemi sanitari possono anticipare i picchi di domanda».

Il report non si limita però a un quadro di rischi: individua anche le aree in cui l’innovazione può creare nuove opportunità. Dalle sementi più resistenti a caldo e siccità ai farmaci termostabili che superano la dipendenza dalla catena del freddo; dalle tecnologie di raffrescamento passive negli edifici alle soluzioni assicurative parametriche capaci di attivare rapidamente indennizzi in caso di ondate di calore o picchi di inquinamento, la capacità di adattamento può trasformarsi in un vantaggio competitivo. Nel settore agricolo, ad esempio, l’agricoltura rigenerativa potrebbe generare ritorni compresi tra il 15% e il 25% nell’arco di dieci anni, mentre nuove tecnologie di agricoltura di precisione permettono già oggi di ridurre l’uso di pesticidi fino al 70%, con benefici per lavoratori, ambiente e qualità delle produzioni.

Per le imprese, la posta in gioco è duplice: proteggere le persone e garantire continuità operativa in un contesto sempre più complesso. Ogni anno di ritardo nell’integrare capacità di resilienza nelle decisioni aziendali aumenta i rischi per la salute e la produttività, rendendo più onerosi gli interventi necessari in futuro. D’altro canto, investire oggi significa evitare costi ben maggiori domani e costruire un’economia più stabile, competitiva e sana, in tutti i sensi.

Redazione Greenreport

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