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L’Università di Lanzhou al centro il dibattito post-COP30 sulla lotta al cambiamento climatico

Ben 83 Paesi hanno proposto una tabella di marcia per l’eliminazione dei combustibili fossili al di fuori del quadro dell’UNFCCC
 |  Crisi climatica e adattamento

LANZHOU – L’Università di Lanzhou ha ospitato una conferenza internazionale (Post COP 30, The Climate Debt: holding the past accountable to secure the future) con l’obiettivo di promuovere riflessioni approfondite e analisi critiche sugli esiti della COP30 di Belém, Brasile, e sulle più ampie questioni legate alla governance climatica globale, alla responsabilità e alla giustizia. In modo sistematico, i relatori ospiti hanno esaminato le dimensioni politiche, giuridiche, etiche e regionali del cambiamento climatico, mettendo in luce numerose criticità e possibili percorsi emergenti di progresso. La conferenza è stata presieduta dal sottoscritto – in qualità di docente presso la Hubei University of Economics – ed è stata scientificamente supervisionata dal dott. Xu Zhang e dal dott. Zhuolun Li (docenti presso l’Università di Lanzhou).

Nel suo intervento di apertura, ho sottolineato come la COP30 avesse come obiettivo principale quello di far avanzare i negoziati climatici, traducendo le parole – indicate come impegni climatici – in azioni concrete. Dal punto di vista delle politiche ambientali, la conferenza ha evidenziato uno scenario attuale caratterizzato, da un lato, da profonde divisioni politiche e da interessi conflittuali riguardo all’eliminazione progressiva dei combustibili fossili e all’adozione di misure restrittive in ambito commerciale; dall’altro, dall’obiettivo cruciale di definire percorsi comuni di mitigazione e adattamento. Di fatto, molti delegati dei Paesi partecipanti hanno manifestato disincanto per l’assenza di una tabella di marcia vincolante che conduca a una transizione efficace, con impegni realmente esecutivi, ad esempio in materia di deforestazione – nonostante la COP30 si sia svolta proprio in Amazzonia. Tuttavia si possono individuare anche fattori positivi, quali la crescente collaborazione tra attori coinvolti al di fuori del quadro dell’UNFCCC e, non meno importante, la volontà politica e l’ambizione di molti Paesi di procedere verso una transizione climatica giusta. Si tratta di un aspetto rilevante che non deve essere sottovalutato.

In questo resoconto si può innanzitutto sottolineare il significativo contributo scientifico della prof.ssa Sara Plato (Animal Welfare & Behavioral, College of Science, Jianghan University, Wuhan, Cina), che, attraverso un approccio interdisciplinare, ha illustrato al pubblico il concetto innovativo di One Welfare. Si tratta di un quadro scientifico che integra il benessere umano, animale e ambientale. In tal senso, la prof.ssa Plato ha proposto di integrare il paradigma One Welfare nella governance climatica, nelle politiche e nelle leggi, attraverso indicatori condivisi, protocolli regionali, l’integrazione nei piani nazionali di adattamento e nei meccanismi di finanziamento climatico. Secondo la prof.ssa Plato, ciò consentirebbe, tra l’altro, di promuovere la giustizia interspecifica, rafforzare la resilienza degli ecosistemi e rendere l’azione climatica globale più equa e sostenibile. Non si tratterebbe di un vero e proprio cambio di paradigma, ma certamente di un cambiamento di approccio. La relatrice ha infatti sostenuto che, allo stato attuale, le politiche climatiche sono eccessivamente antropocentriche, trascurando il benessere animale e la salute degli ecosistemi; di conseguenza, le strategie di mitigazione e adattamento risultano in parte indebolite.

Il secondo relatore, il professor Luigi Troiani (Relazioni Internazionali, Pontificia Università San Tommaso d’Aquino – L’Angelicum, Roma, Italia/UE), ha presentato un’analisi geopolitica concisa e puntuale della COP30, descrivendola come un fallimento nel fornire il promesso “summit dell’implementazione”. In particolare, il prof. Troiani ha posto l’accento sulla persistente e poco produttiva divisione tra Paesi produttori di petrolio e altri Stati, sull’assenza degli Stati Uniti, nonché sulla riluttanza di Russia, India e Cina ad assumere un chiaro ruolo di leadership. A chiarimento di quest’ultimo punto, è stato evidenziato come la Cina si sia concentrata prevalentemente sugli interessi commerciali piuttosto che sull’assunzione di una reale leadership climatica globale, nonostante abbia effettuato, nell’ultimo decennio, investimenti significativi nelle energie rinnovabili e nell’esportazione di componenti tecnologiche. Allo stesso tempo, il prof. Troiani ha sottolineato che 83 Paesi – e non solo due – hanno proposto una tabella di marcia per l’eliminazione dei combustibili fossili al di fuori del quadro dell’UNFCCC, elemento che rappresenta una debolezza del sistema climatico multilaterale. In sintesi, egli ha affermato che, per un’azione climatica significativa, gli Stati devono porre al centro meccanismi finanziari più solidi, accompagnati da efficaci processi di mediazione istituzionale che tengano conto della pressione pubblica per la giustizia climatica.

La terza relatrice, la dott.ssa Adeline Michaud (consulente legale presso McKinsey & Company, Svizzera/UE), ha affrontato il tema della responsabilità delle imprese attraverso i meccanismi giuridici nazionali, concentrandosi sui casi di Francia e Svizzera. In sintesi, la dott.ssa Michaud ha sostenuto che il diritto internazionale, in questa fase storica, è caratterizzato da una crescente presenza di strumenti di soft law e tende a rimanere ampiamente ancorato a una dimensione stato centrica. Parallelamente, ha evidenziato il ruolo cruciale delle legislazioni nazionali nel chiamare i soggetti privati, come le imprese, a rispondere degli impatti sui diritti umani e sull’ambiente, ad esempio lungo le catene di approvvigionamento. In particolare, la legge francese del 2017 sul dovere di vigilanza chiarisce in modo significativo i requisiti in questo ambito. In Svizzera, invece, la normativa è più limitata, riferendosi soltanto ad alcune questioni rilevanti, come i rischi di lavoro minorile e i minerali. La dott.ssa Michaud ha inoltre osservato che, purtroppo, nell’ambito del diritto dell’Unione europea, la Direttiva sulla due diligence in materia di sostenibilità delle imprese è stata rinviata e ridimensionata a causa della mancanza di volontà politica.

In quarto luogo, la prof.ssa Antonietta Elia (Non-Resident Fellow, Balsillie School of International Affairs, Canada, Spagna/UE) ha esaminato il cambiamento climatico attraverso la lente della giurisprudenza sui diritti umani, concentrandosi sul Parere Consultivo del 2025 della Corte Interamericana dei Diritti Umani, emesso nell’estate dello stesso anno. Nel complesso, la prof.ssa Elia ha analizzato criticamente i punti principali di tale parere. In particolare, è rilevante il fatto che la Corte abbia riconosciuto con fermezza l’interconnessione tra l’impatto del cambiamento climatico sulla sicurezza umana e l’integrità degli ecosistemi. In linea con ciò, la Corte ha affermato che gli Stati hanno obblighi di rispetto, garanzia e cooperazione, sottolineando l’importanza di politiche basate su evidenze scientifiche. È stato inoltre condiviso che la Corte intende considerare gli obblighi derivanti dalla protezione ambientale e dalla prevenzione di danni irreversibili come obblighi di natura imperativa. Questo aspetto è particolarmente significativo per il riconoscimento della natura come soggetto di tutela giuridica e per il rafforzamento della giustizia intergenerazionale.

Infine, il professor Cristiano D’Orsi (Lecturer e Senior Research Fellow in Diritti Umani e Migrazione, Università di Johannesburg, Sudafrica) ha analizzato la posizione dell’Africa alla COP30. I Paesi africani hanno richiesto un’agenda climatica orientata alla giustizia, maggiori finanziamenti climatici, l’operatività del Fondo per Perdite e Danni, equità climatica nei mercati del carbonio e sostegno alle iniziative guidate dall’Africa. Nonostante la forza di tali richieste, i progressi concreti sono stati molto limitati e molte decisioni sono state rinviate. Tuttavia, l’Unione Africana continua a sostenere una transizione giusta verso un futuro sostenibile attraverso la ben consolidata Agenda 2063 e gli ampiamente noti Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

In conclusione, la conferenza ha messo in evidenza le discrepanze esistenti tra gli obiettivi climatici e la loro effettiva implementazione, nonché nuovi approcci proposti per rafforzare l’attuazione del diritto, dell’etica e delle politiche climatiche.

Giuseppe Poderati

Giuseppe Poderati è professore di Lingua e Cultura Italiana presso la Hubei University of Economics in Cina con focus su eco-linguismo. Laureato con lode in Giurisprudenza presso l’Università LUMSA, ha arricchito il suo percorso formativo partecipando a un programma di scambio internazionale presso la SUNY - State University of New York e il Center for Italian Studies. Giuseppe ha proseguito gli studi con corsi post-laurea in Business Internazionale, Politiche Pubbliche nell’Euro-Mediterraneo, ASEAN e Diritto Internazionale e Comparato, frequentando prestigiose istituzioni come il Graduate Institute di Ginevra e la National University of Singapore. Durante la sua carriera accademica, è stato visiting scholar presso il Max Planck Institute e l’Università di Palermo. Autore di numerosi articoli scientifici, Giuseppe ha completato un dottorato di ricerca in Diritto Ambientale presso la Wuhan University, consolidando il suo profilo di studioso internazionale e collaborando con altre università e organizzazioni.