La Società di medicina veterinaria: piogge e calore hanno favorito focolai di West Nile
Nelle ore in cui emerge che nel Lazio i casi di West Nile sono saliti a 20, tutti a Latina e provincia, viene segnalato con sempre maggiori dettagli e da più fonti anche il rapporto tra la diffusione di questo virus e i cambiamenti climatici.
Nei giorni scorsi la Società italiana di medici ambientali ha sottolineato che l’innalzamento delle temperature globali, unito alla maggiore frequenza di eventi estremi come piogge improvvise, alluvioni, siccità alternate a umidità persistente, sta modificando il raggio d’azione di vettori come zanzare, zecche, flebotomi.
E oggi un nuovo parere medico fa ulteriore luce sulla diffusione di questo virus diffuso dalle punture di zanzara. «Le piogge intense seguite da ondate di caldo e le rotte migratorie degli uccelli hanno favorito la proliferazione delle zanzare e l'amplificazione del ciclo di trasmissione del virus West Nile», spiega la Società italiana di medicina veterinaria preventiva. Viene anche sottolineato come «questo virus sia un esempio chiaro di quanto la salute umana, animale e ambientale siano interconnesse». In Italia, il virus è endemico, in particolare in Emilia-Romagna e Veneto mentre recente è il cluster epidemico nel Lazio, per ora ristretto nella provincia di Latina, e in Campania, «che conta già alcune centinaia di casi asintomatici, considerando che solo l'1-2 % delle infezioni provocano il ricovero ospedaliero».
«Il problema è che i sintomi sono spesso lievi o assenti, per questo è difficile stimare la reale diffusione del virus», afferma Antonio Sorice, presidente Simevep. Quel che è certo è che «solo un approccio One Health può garantire una risposta efficace, fondata su sorveglianza integrata e collaborazione multidisciplinare».
Diverso è il caso del Lazio, dove è stato già registrato un decesso e dove due persone sono ricoverate in terapia intensiva.
Dal 2018 sono stati notificati oltre 247 casi umani autoctoni di forme neuro-invasive. Il Piano nazionale di prevenzione arbovirosi 2020-2025, promosso dal ministero della Salute, prevede una sorveglianza integrata uomo-animale-ambiente. Fondamentale il ruolo dei Servizi Veterinari, che monitorano la presenza del virus in uccelli selvatici, cavalli e zanzare, segnalando precocemente le zone a rischio. «In alcuni casi il virus è stato rilevato nei vettori anche nove giorni prima del primo caso umano, a dimostrazione dell'efficacia della sorveglianza veterinaria», sottolinea Maurizio Ferri, coordinatore scientifico di Simevep. I dati raccolti vengono condivisi in tempo reale con il Centro Nazionale Sangue e il Centro Nazionale Trapianti per attivare misure di sicurezza su donazioni e trapianti.