Montagna instabile, ghiacciai in fuga: il Ventina arretra 400 metri in dieci anni
C’è un ghiacciaio in Valmalenco che racconta più di molte parole cosa significa vivere la crisi climatica in alta quota. È il Ventina, osservato da oltre un secolo, e oggi ridotto a un corpo fragile e instabile: ha perso circa un terzo della sua superficie in 65 anni, la fronte continua a ritirarsi e le morene franano sotto la spinta di piogge torrenziali sempre più frequenti.
Il quadro emerge con chiarezza durante la tappa lombarda della Carovana dei ghiacciai 2025, iniziativa di Legambiente in collaborazione con CIPRA Italia e la Fondazione Glaciologica Italiana. Non solo numeri, ma immagini reali di instabilità: colate di detriti, lembi di ghiaccio morto che minacciano di crollare, versanti resi pericolosi da precipitazioni improvvise.
Il Ventina ha perso 400 metri di fronte dal 2015 a oggi, dopo i 700 metri già registrati tra il 1990 e il 2015. Dal punto di vista areale, la superficie del ghiacciaio è passata dai 2,10 km2 del 1957 (Catasto CGI) ai 1,87 km2 del Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani (C. Smiraglia e G. Diolaiuti, 2015), a 1,38 km2 del 2022 (S. Perona, CGI).
Una velocità di arretramento senza precedenti, che costringe i ricercatori ad abbandonare i metodi tradizionali di misura per affidarsi a droni, fotogrammetria e immagini satellitari.
«Il ghiacciaio della Ventina – commentano Marco Giardino, vicepresidente Fondazione Glaciologica Italiana e docente Università di Torino e Mattia Gussoni del Servizio Glaciologico Lombardo e meteorologo di Ilmeteo.it – ha avuto un arretramento di 400 metri negli ultimi dieci anni, un tasso di regresso così importante che non ha precedenti dal 1895 ad oggi. Ciò conferma l’importanza di questo ghiacciaio come indicatore della trasformazione dell’ambiente alpino glacializzato. Il suo monitoraggio offrirà importanti indicazioni per gestire i problemi connessi alla deglaciazione».
A rendere ancora più evidente la fragilità della montagna ci sono le frane e le piene improvvise, diventate fenomeni abituali anche oltre i 2.500 metri.
«La montagna resta un ambiente fragile, che richiede rispetto, esperienza e prudenza. Il cambiamento climatico non significa smettere di frequentare la montagna, ma viverla con maggiore consapevolezza e adottare comportamenti di adattamento e rispetto – dichiara Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente e presidente di CIPRA ITALIA – Per questo è fondamentale anche un approccio più consapevole e attento nei confronti dell’ambiente montano, occorre prepararsi adeguatamente, conoscere i propri limiti e informarsi bene sulle condizioni del territorio e del meteo. La scelta prudente dell’itinerario, il confronto con chi conosce la montagna e, quando possibile, l’accompagnamento da parte di esperti sono strategie essenziali per ridurre i rischi, così come è importante andare in montagna senza lasciare tracce senza abbandonare i rifiuti in quota. Un messaggio che abbiamo voluto ricordare con l’attività di Clean Up in quota con Puliamo il Mondo».
Durante l’escursione glaciologica non sono mancati i segni tangibili della scarsa attenzione dei visitatori: lungo il sentiero sono stati raccolti plastica, mozziconi, tubetti di crema, persino un catetere e dei calzini. Un’immagine amara di come l’overtourism e la mancanza di rispetto aggravino una montagna già indebolita dal riscaldamento globale.
Il Ventina, però, non è un caso isolato. I dati dell’Osservatorio Città Clima registrano 83 eventi meteo estremi in sette mesi sulle Alpi italiane: la Lombardia guida questa classifica poco invidiabile con 30 episodi, seguita da Veneto e Piemonte. Le montagne, i ghiacciai e i torrenti stanno diventando i laboratori più evidenti della crisi climatica.
La Carovana dei ghiacciai ora guarda alle prossime tappe: Ortles-Cevedale, Zugspitze e infine i ghiacciai della Bessanese e della Ciamarella. E invita cittadini e istituzioni a un impegno concreto: la petizione “Una firma per i ghiacciai” per chiedere al Governo politiche di adattamento e tutela più incisive.