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Oceani sempre più acidi: l’impronta invisibile della CO₂ umana

Il pH marino cala e minaccia coralli, molluschi e plancton, riducendo la capacità del mare di assorbire carbonio
 |  Crisi climatica e adattamento
Graphica: A. Vargas Terrones /IAEA

 Che cos’è l’acidificazione degli oceani?

È un processo durante il quale il valore del pH del mare diminuisce, aumentando di conseguenza l’acidità dell’acqua.

È causato principalmente dal rilascio di anidride carbonica in atmosfera, che viene da noi prodotta più velocemente di quanto la natura riesca a eliminare, per cui quantità sempre maggiori vengono immagazzinate dall'oceano.

Attualmente, il pH medio degli oceani di tutto il mondo è 8.1, ma secondo le stime, nel 2300 potrebbe scendere a 7.3, rendendoli quasi 10 volte più acidi.

L’acidificazione degli oceani non danneggia solo coralli, ricci di mare, ostriche e altri organismi con gusci e scheletri di carbonato di calcio. Anche alcune specie di plancton, che costruiscono minuscoli gusci calcarei e rappresentano un importante serbatoio naturale di carbonio, rischiano di essere compromesse. Se i loro gusci si dissolvono, viene meno uno dei meccanismi che permette agli oceani di catturare e trattenere CO₂ a lungo termine, riducendo così la capacità del mare di svolgere il suo ruolo di regolatore del clima.

 

INGV

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) è stato costituito con Decreto legislativo 29 settembre 1999, n. 381, dalla fusione di cinque istituti già operanti nell'ambito delle discipline geofisiche e vulcanologiche: l’Istituto Nazionale di Geofisica (ING), l’Osservatorio Vesuviano (OV), l’Istituto Internazionale di Vulcanologia di Catania (IIV), l’Istituto di Geochimica dei Fluidi di Palermo (IGF) e l’Istituto di Ricerca sul Rischio Sismico di Milano (IRRS).