Nella classifica delle performance mondiali climatiche l’Italia perde tre posizioni e retrocede al 46esimo posto
Non stiamo messi bene, a livello globale. E stiamo messi decisamente male, a livello nazionale. È stata appena pubblicata la classifica “Climate Change Performance Index 2026” stilata dal rapporto Germanwatch, CAN e NewClimate Institute, realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia, e presentato oggi alla Cop30 di Belém, in Brasile. Leggendo il documento si apprende che nel 2025 il nostro Paese retrocede al 46esimo posto in classifica, perdendo tre posizioni rispetto allo scorso anno (era 43esima) e ben 17 rispetto al 2022 (quando era 29esima). Una caduta libera che la fa restare anche quest’anno ben lontana dalle posizioni di vertice che vedono dominare la Danimarca (4°), seguita da Regno Unito (5°) e Marocco (6°). Più avanti si spiegherà perché la classifica parte dalla quarta posizione.
L’Italia paga lo scotto di una politica climatica nazionale (58° posto della specifica classifica) fortemente inadeguata a fronteggiare l’emergenza climatica. Infatti, l’aggiornamento del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) consente una riduzione complessiva delle emissioni entro il 2030 di appena il 44.3% e del 49.5% se si includono anche gli assorbimenti di carbonio del settore Lulucf. Un ulteriore passo indietro rispetto al 51% previsto dal Pnrr, già inadeguato in confronto all’obiettivo europeo del 55%. Piano che per di più stenta a decollare, come emerge anche dal rapporto Ispra sullo Stato dell’Ambiente in Italia 2025.
«Quanto emerge dal report Germanwacth 2026 - commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – conferma quanto poco stia facendo l’Italia nel contrasto alla crisi climatica. Sul fronte energetico il nostro Paese continua ad avere una visione miope che sta facendo fare solo passi indietro anche nella lotta alla crisi climatica, creando al tempo stesso nuove dipendenze energetiche dall’estero, da Paesi instabili politicamente. Il governo Meloni usi buon senso e non dimentichi che la Penisola può diventare un hub delle rinnovabili attraverso un modello fondato su fonti pulite, reti, accumuli ed efficienza. Solo così sarà possibile vincere la sfida della duplice crisi, energetica e climatica, che rischia di mettere in ginocchio l’Italia e compromettere la competitività della nostra economia».
Leggendo nel dettaglio i dati relativi all’Italia, dal report emerge che nel periodo 1990-2023 le emissioni climalteranti italiane sono diminuite del 26.4% e con le politiche correnti, secondo le proiezioni Ispra, entro il 2030 sarà possibile una riduzione delle emissioni nazionali di solo il 42%, includendo anche gli assorbimenti. Ritardo dovuto anche alla crescita ancora lenta delle rinnovabili. Nel 2023 la quota del consumo da fonti rinnovabili, sul consumo finale lordo di energia, si è attestato ad appena il 19.6%, performance fortemente inadeguata a raggiungere l’obiettivo del 39.4% previsto dal Pniec. L’Ispra sottolinea, infatti, che il ritmo di crescita delle rinnovabili dovrebbe essere circa quattro volte superiore rispetto al passato per centrare l’obiettivo del Pniec.
«Un Piano – commenta Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo Legambiente e inviato alla Cop30 di Belém - poco ambizioso anche nelle soluzioni, che si nasconde dietro il dito del pragmatismo e della neutralità tecnologica posticipando il phase-out del carbone addirittura al 2038 e ricorrendo ancora una volta a false soluzioni (come la Ccs e il nucleare) che faranno solo perdere tempo e risorse al nostro Paese, rischiando inoltre di rendere sempre meno competitiva l’Italia sia a livello europeo che internazionale».
Tornando al report e allargando lo sguardo alla classifica globale, si legge che la performance è misurata, attraverso il Climate Change Performance Index (Ccpi), prendendo come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Il Ccpi si basa per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo sia delle rinnovabili che dell’efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica.
Anche quest’anno le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite, in quanto nessuno dei Paesi ha ancora raggiunto la performance necessaria per contribuire a contenere con efficacia il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C. Si conferma in testa alla classifica con il quarto posto la Danimarca, grazie soprattutto alla significativa riduzione delle emissioni climalteranti ed allo sviluppo delle rinnovabili, soprattutto offshore. Segue il Regno Unito (5°) grazie ad una più ambiziosa politica climatica ed al phase-out del carbone, nonostante il ritardo nello sviluppo delle rinnovabili. Sale il Marocco che si posiziona nel terzetto di testa (6°) con un’efficace politica climatica che garantisce emissioni pro-capite molto basse e consistenti investimenti nel trasporto pubblico. Anche quest’anno, i Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili si posizionano in coda alla classifica dove troviamo, subito dopo la Russia, Stati Uniti, Iran ed Arabia Saudita.
Tra i Paesi del G20, responsabili del 75% delle emissioni globali e con un ruolo cruciale per contrastare la crisi climatica, solo il Regno Unito è nella parte alta della classifica. Mentre in basso si posizionano Sudafrica, Indonesia, Italia. Ed in fondo alla classifica Turchia, Cina, Australia, Giappone, Argentina, Canada, Sud-Corea, Russia, Usa e Arabia Saudita. La Cina, maggiore responsabile delle emissioni globali, sale al 54° posto, appena una posizione più su rispetto allo scorso anno. Nonostante il grande sviluppo delle rinnovabili, insieme a batterie ed auto elettriche, le emissioni cinesi crescono ancora per il continuo ricorso al carbone. Tuttavia, nel primo trimestre di quest’anno si è registrato un loro declino. Segnale che probabilmente le emissioni cinesi abbiano raggiunto il picco grazie al crescente contributo delle tecnologie pulite. La peggiore performance climatica, tra i grandi emettitori globali, quest’anno è quella dell’India (23°) che scende di ben 13 posizioni. Nonostante il promettente trend delle rinnovabili, le emissioni continuano ad aumentare per il crescente ricorso al carbone, con nuove centrali in programma e senza una roadmap per il suo phase-out.
Il report comprende anche un esame dell’Unione europea nel suo complesso (20°), che scende di tre posizioni, con solo 15 Paesi nella parte medio-alta. Nonostante il significativo passo in avanti della Spagna (14°) che sale di 5 posizioni per la crescente efficacia della sua politica climatica ed energetica. La performance Ue è condizionata dalla Germania, maggiore economia europea, che scende di ben 6 posizioni (22°), soprattutto per il programma di nuovi impianti a gas, che rischia di compromettere i considerevoli progressi nelle rinnovabili.